Lavorare 12 ore al giorno, in condizioni pessime e sottopagati. Scopriamo la denuncia "fare giocattoli senza gioia" di una ONG cinese
Lavorare 12 ore al giorno 7 giorni su 7 in condizioni di sicurezza pessime, che vanno dall’inadeguatezza dell’attrezzatura necessaria per maneggiare i prodotti chimici all’assenza di allarmi antincendio o estintori. Vivere in stabilimenti con mense e dormitori in cui l’igiene sanitaria lascia a desiderare, sotto la continua pressione dei supervisori e le minacce di multe se si va in bagno senza permesso.
Vedere i propri cari solo una volta l’anno, durante il Capodanno cinese. E ottenere in cambio un salario appena sufficiente per l’auto-sussistenza. È questa la situazione degli operai cinesi, per lo più migranti, che producono in subappalto i giocattoli dei giganti Mattel, Lego e Disney. È questa la denuncia del rapporto “Making toys without joy”, “fare giocattoli senza gioia”, pubblicato il 5 dicembre della ONG cinese Sacom, Students & Scholars Against Corporate Misbehaviour (studenti e studiosi contro la cattiva condotta aziendale).
L’ONG ha monitorato le condizioni di lavoro nel settore dei giocattoli in Cina dal 2005 e ha purtroppo registrato uno scarso miglioramento delle condizioni di lavoro degli operai. Nell’estate del 2011 Sacom ha visitato tre fabbriche di giocattoli nella provincia di Guangdong, nel sud della Cina, e cioè Dongguan On Tai Toys Co. Ltd., Sturdy Products Factory e Hung Hing Printing Group Ltd., che sono fornitori di famose multinazionali, tra cui Disney, Mattel, Lego, McDonald, Spencer e Walmart. Tutti i 3 gli stabilimenti erano certificati dalla ICTI CARE già da alcuni anni, nonostante le numerose violazioni dei diritti dei lavoratori, anche i più basilari.
Come quelle registrate da Sacom nelle fabbriche di On Tai, Sturdy Products ae Hung Hing: carico di straordinari fino a 140 ore al mese (circa 4 volte il limite legale), salario sempre pagato posticipatamente, negazione di una copia del contratto di lavoro, negazione di dispositivi di protezione individuale, assenza di informazione, rifiuto di fornire le prestazioni assicurative, bambini lavoratori nel periodo estivo, negazione del diritto alla libertà di associazione, multe arbitrarie, mancanza di igiene degli alimenti offerti nelle mense, con presenza di insetti nei piatti, dormitori sporchi e frequentati da ratti. Eppure queste aziende erano certificate.
L’ICTI (International Council of Toy Industries),che comprende 780 marchi e promuove lo standard di sicurezza internazionale del giocattolo, ha avviato nel 2004 un programma per il controllo della produzione (ICTI-CARE, dove Care sta per Caring Awareness, Responsible, Ethical) con l’obiettivo di garantire il rispetto dei diritti dei lavoratori mediante ispezioni nei luoghi di produzione dei fornitori. Ma, spiega l’ONG, “l’ICTI CARE, ancora una volta, ha dimostrato di essere solo una copertura per lo sfruttamento da parte delle grandi aziende dei lavoratori in Cina”. Secondo l’associazione, le fabbriche dei subappaltatori pagherebbero l’ICTI per fare superare le verifiche e costringerebbero i lavoratori a mentire.
E così la valanga di giocattoli cinesi, con le Barbie, le macchinine telecomandate, i bambolotti e gli animali, è arrivata sugli scaffali dei negozi di mezzo mondo anche questo Natale, nonostante gli scandali sui danni sulla salute legati ai materiali con cui sono fatti. A scapito dei diritti dei circa 4 milioni di lavoratori che lavorano nella filiera, che ricevono, pur lavorando 11-12 ore al giorno e almeno sei giorni su 7, un salario base di 130 a 160 euro mensili. E costretti a subire continue violazioni dei diritti del lavoro.
Le certificazioni, purtroppo, non offrono garanzie sufficienti, non seguono tutto il percorso dell’intera filiera riproduttiva. Le multinazionali si limitano solo ad aderire al programma, senza assumersi ulteriori responsabilità. Non si preoccupano di pagare prezzi ragionevoli ai produttori, non aiutano le imprese locali a ridurre le violazioni.
Allora, aspettando che il programma ICTI-CARE migliori e che più aziende vi aderiscano, l’alternativa più sicura è quella delle organizzazioni del commercio equo e solidale, con il marchio Fairtrade. Anche nei giocattoli ciò che è sicuro fa bene anche all’ambiente e garantisce equità e giustizia anche per chi ci lavora.
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Roberta Ragni