Definite anche inquinanti eterni, proviamo a spiegare cosa sono le sostanze perfluoroalchiliche meglio conosciute come PFAS, dove si trovano e quali sono le conseguenze sull'ambiente e sulla salute
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Ultimamente si è tornato a parlare di PFAS e degli effetti che questi possono avere sulla nostra salute – soprattutto dopo la recente scoperta della loro presenza anche in stoviglie compostabili ed ecosostenibili. Ma cosa sono e perché dobbiamo preoccuparci? Facciamo un po’ di chiarezza.
Cosa sono i PFAS?
L’acronimo sta per Perfluoroalkyl substances, ovvero sostanze perfluoroalchiliche: si tratta di molecole organiche caratterizzate dal fatto di avere la maggior parte degli atomi di idrogeno sostituiti da atomi di fluoro.
Come si legge nello studio condotto dall’Istituto di Ricerche Farmacologiche ‘Mario Negri’: Il termine fa riferimento ad una famiglia di composti organici di sintesi costituiti da una catena alchilica lineare o ramificata, idrofobica di varia lunghezza (in genere da 4 a 16 unità di carbonio). […] La catena carboniosa può essere totalmente o parzialmente fluorurata: nel primo caso si parla di sostanze “perfluorurate” come, per esempio, l’acido perfluorottanoico (PFOA) e l’acido perfluoroottansolfonico (PFOS). Per quanto riguarda le molecole parzialmente fluorurate, queste sono denominate “polifluorurate.
La presenza di numerosi legami carbonio-fluoro in queste sostanze conferisce loro conferisce particolari caratteristiche fisico-chimiche come la repellenza ad acqua e a grassi, la stabilità termica e la tensioattività che le rendono molto utili in un ampio campo di applicazioni industriali, nonché in tantissimi prodotti di uso quotidiano.
Purtroppo però, il loro impatto ambientale è tutt’altro che trascurabile: proprio grazie alla loro stabilità termica e chimica, PFOA e PFOS risultano essere chimicamente stabili nell’ambiente e resistenti ai tipici processi di degradazione, riuscendo a persistere nel suolo, nell’aria e nell’acqua anche per anni.
Trasportati dal vento, possono percorrere distanze molto ampie, mentre nel sottosuolo contaminano le falde acquifere. Sia il PFOS che il PFOA sono composti facilmente assorbiti dall’organismo umano e presentano proprietà di bioaccumulo e biomagnificazione considerevoli – ovvero permangono all’interno del corpo umano e non vengono espulsi come normali tossine (in particolare, si depositano a livello epatico e adiposo, legandosi alle proteine presenti nel plasma). Per questo motivo, i PFAS sono stati aggiunti all’allegato B della Convenzione di Stoccolma: “Composti con produzione ed usi ristretti” (2009) e il loro utilizzo nell’UE è stato soggetto a restrizioni crescenti ed è ora regolamentato come un inquinante organico persistente a norma del regolamento.
Dove troviamo i PFAS?
Come spiegato, i PFAS sono impermeabili all’acqua e all’olio e resistenti alle reazioni chimiche, al calore e alla frizione. Questo li rende altamente versatili e utilizzabili nei settori più disparati, come ad esempio:
- Settore agricolo: i PFAS sono presenti in grandi quantità nelle acque utilizzate per irrigare i campi, ma anche nei fertilizzanti chimici e in altre sostanze utilizzate per processare le materie prime;
- Packaging utilizzato per il trasporto e la vendita del cibo al dettaglio, ma anche per il cibo da asporto come ad esempio quello dei fast food: addirittura, un recente studio europeo ha individuato la presenza di PFAS negli imballaggi alimentari usa e getta venduti dai principali marchi di fast food in tutta Europa (inclusi McDonald’s e Subway); anche i contenitori per alimenti in cellulosa biodegradabile o in bambù (considerati più rispettosi dell’ambiente in quanto riciclabili) contengono in realtà PFAS, rendendosi quindi dannosi per la natura ma anche per l’uomo che li utilizza;
- Prodotti per la casa, come vernici, cera per i pavimenti, prodotti per la pulizia domestica, tessuti, schiuma per gli estintori (vista la loro resistenza al calore);
- Animali che fanno parte della catena alimentare e che, nel corso della loro vita, hanno assorbito queste sostanze dall’ambiente in cui sono vissuti;
- Prodotti per l’igiene personale, come saponi, lacca, schiuma da barba, trucchi, deodoranti – addirittura nel filo interdentale;
- Prodotti tessili, come tappeti, pelle, tessuti impermeabili;
- Pentole e padelle antiaderenti: i PFAS sono presenti nel cosiddetto Teflon (o politetrafluoroetilene) e, a causa della loro resistenza e impermeabilità ai grassi, conferiscono la tipica antiaderenza.
Quali sono i rischi per l’uomo?
Numerosi studi (come quello condotto dal National Toxicology Program nel 2020) hanno attestato la pericolosità dei PFAS per la salute dell’uomo. Sappiamo che sono interferenti endocrini, cioè che alterano i processi ormonali all’interno dell’organismo (si confronti su questo lo studio condotto nel 2019 dall’Università di Oxford relativo agli effetti dei PFAS sul sistema endocrino) – con pesanti conseguenze sullo sviluppo, sul comportamento e sulla fertilità; favoriscono inoltre l’insorgenza di malattie della tiroide e del metabolismo (come obesità e diabete di tipo 2). Oltre a questo, sono considerate sostanze cancerogene, con un’influenza sull’insorgenza di patologie come il tumore ai reni o ai testicoli. Fra le conseguenze legate all’esposizione ai PFAS, infine, ci sono anche ipertensione, colite ulcerosa, colesterolo. In tutti questi casi, non si tratta di effetti immediati: molto spesso le malattie si manifestano anche dopo anni dall’esposizione a queste sostanze nocive.
Addirittura, recenti studi hanno dimostrato come l’esposizione delle donne in gravidanza ai PFAS possa rappresentare un fattore di rischio per i nascituri: diabete gestazionale, neonati più piccoli e sotto peso rispetto alla media e altre malformazioni maggiori tra cui anomalie del sistema nervoso, del sistema circolatorio e cromosomiche sono state riscontrate nei figli delle donne che vivono in aree particolarmente contaminate da queste sostanze.
Cosa accade in Italia: il caso del Veneto
Nel nostro paese, eclatante è il caso della regione Veneto, inquinata irrimediabilmente da anni di sversamenti tossici operati dall’industria chimica Miteni (fallita nel 2018) con sede a Trissino, in provincia di Vicenza: l’industria è stata responsabile del 97% dei 5 chilogrammi di PFAS che sono stati sversati nelle acque del bacino Agno-Fratta-Gorzone, grande come il lago di Garda, da cui pescano gli acquedotti che raggiungono 21 comuni.
Ma non solo: le sostanze nocive sono finite non solo negli acquedotti pubblici, ma anche nei pozzi privati, contaminando l’irrigazione dei campi come le abitudini quotidiane dei residenti. Un dossier pubblicato nel 2019 infatti parla di un vero e proprio disastro ambientale (il più grave inquinamento delle acque della storia del nostro paese) che ha interessato ben tre province, compromettendo la salute di oltre 350.000 persone, e che – come spesso accade – poteva essere evitato: le autorità locali e gli enti deputati ai controlli ambientali hanno ritardato gli interventi amministrativi di bonifica e tutte le indagini penali. La nocività dei solfuri di carbonio combinati con gli acidi fluoridrici, infatti, poteva essere resa pubblica già anni prima.
L’incubo per gli abitanti del Veneto, purtroppo, è tutt’altro che concluso. Con l’insorgenza del Coronavirus, infatti, le province contaminate dai PFAS si è registrata infatti mortalità da Covid superiore del 60% rispetto alla media della Regione. Questo perché l’esposizione prolungata a queste sostanze tossiche sono associate a forme più gravi di Covid, come testimonia anche questo studio.
Fonti: EPA / Istituto Mario Negri / Legambiente / Università di Padova
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