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Stiamo diventando sempre meno intelligenti: dal secolo scorso il nostro coefficiente intellettuale sta peggiorando drasticamente. Ad esserne responsabile è, seppur in parte, la tecnologia, che ci ha reso sempre meno in grado di concentrarci su un singolo compito e in maniera efficace.
Una vera e propria involuzione acclamata ormai da diversi studi, che dimostrano come il progresso intellettuale sia durato fino alla fine del 20esimo secolo, poi il buio: da allora il QI non ha smesso di precipitare.
Una delle cause, secondo varie ricerche, è l’uso massiccio della tecnologia e i compiti che il nostro cervello delega ad essa. Ad esempio, il nostro cellulare è in grado di ricordarci un appuntamento o come raggiungere un posto. Tutte cose che impigriscono le nostre capacità intellettive.
La tecnologia intelligente, insomma, ci sta effettivamente rendendo meno produttivi (o più stupidi). Proprio così e alcuni scienziati battono su questo punto: la tecnologia è davvero brava a renderci più occupati, vero, ma occupato non è la stessa cosa di produttivo. All’aumentare della nostra dipendenza dalla tecnologia, la nostra produttività effettiva diminuisce.
È l’assunto da cui partono svariate indagini: per tecnologia intelligente si intende qualsiasi dispositivo con cui interagiamo che rimodula una qualsiasi forma di pensiero al posto nostro. Per molti modi è fantastico, ma eccome se ci atrofizza il cervello…
Insomma, occhi puntati su qualsiasi tipo di notifica delle mille app che abbiamo sugli smartphone, orologi intelligenti, una preoccupante e fittizia iperconnessione con il mondo che ci slega dalla realtà di tutti i giorni. Il cervello umano è così costretto a trovare un nuovo assetto su una realtà differente da quella che l’evoluzione gli ha concesso fino a quando internet non ha preso il sopravvento su tutto, lasciando per la strada facoltà fondamentali.
Abbiamo cercato di delineare i diversi studi e riflessioni di scienziati secondo cui la tecnologia degli ultimi decenni non ha fatto altro che modificare la conformazione del cervello umano.
Addio pensiero lento
È Lamberto Maffei, professore emerito di Neuroscienze alla Normale di Pisa, Presidente dell’Accademia dei Lincei, a consegnarci un quadro tanto preciso quanto tragico di quello è da sempre considerato un organo “lento”: il nostro cervello. Secondo i suoi studi, la dipendenza dalla tecnologia sta modificando la struttura neuronale del cervello ora costretto a misurarsi con la super velocità del digitale.
Il risultato è che il pensiero lento, quello che si dedica alla riflessione profonda, all’apprendimento e all’educazione, va via via deperendosi: si tratta di un cambiamento fisiologico, a causa del quale i neuroni del pensiero lento si spengono dando spazio al mondo super veloce di smartphone, Pc, tablet e social media.
Le notifiche sono come una droga
Ogni app sul telefono vuole inviarci delle notifiche, col risultato che tutto quello che facciamo durante il giorno è toccare icone con punti rossi. Una ricerca della Harvard University ha dimostrato che questa costante stimolazione da parte dei nostri dispositivi aumenta la dopamina nel cervello, il che significa sostanzialmente che le notifiche vanno considerate al pari delle droghe.
E il problema con la dipendenza dalle droghe è che, proprio come le notifiche, è davvero difficile da debellare.
Farà stare bene per un momento, ma rende anche ansiosi: ecco perché una persona in media controlla il proprio smartphone 80-150 volte al giorno secondo una recente ricerca. E va da sé che è difficile essere produttivi quando ti fermi a guardare il telefono ogni 10-12 minuti.
Siamo iperconnessi
La pensa esattamente così il professor Michael Merzenich, che in una puntata speciale di PresaDiretta ha spiegato le conseguenze neurologiche dell’utilizzo delle tecnologie.
Nella media di quaranta secondi appena saltiamo da una chat a una foto Instagram, da un post all’altro di Facebook, da un link all’altro e siamo in una parola iperconnessi.
Tutto si può cliccare, tutto si può scaricare, e in un mondo sempre più connesso l’attenzione va scemando.
“Fino a 40 anni fa noi scienziati pensavamo che il cervello fosse plastico nelle primissime fasi dell’infanzia ma una volta adulto diventasse esattamente come il computer che hai sulla scrivania: una macchina cablata in modo permanente, che non poteva più essere alterata. Poteva solo deteriorarsi – ha a Presadiretta. Oggi sappiamo che è sbagliato il cervello è progettato per essere continuamente e profondamente modificabile. Finché sei in vita, hai la possibilità di cambiarlo. In meglio, o in peggio, naturalmente”.
Nell’intervista il professor Merzenich invita a riflettere su quello che stiamo facendo al nostro cervello:
“Noi tendiamo a pensare che qualsiasi cosa accada qui dentro vada bene e che il cervello sia sano finché ne abbiamo uno. Ma sappiamo talmente poco della correlazione tra la salute di questa macchina e quello che le provochiamo con le nostre azioni, che pensiamo che qualsiasi invenzione tecnologica le buttiamo addosso sia innocua, purché non ci uccida. È falso. La tecnologia ci sta cambiando, e ci sta cambiando proprio nella testa”.
Multitasking, che guaio
Sapevamo già che usare più dispositivi contemporaneamente fa restringere il cervello, ma nel suo libro “The Organized Mind: Thinking Straight in the Age of Information Overload”, il neuroscienziato Daniel J Levitin ha messo in luce che quando cerchiamo di concentrarci su più di un compito, da un e-mail non letta agli sms, dallo smartphone al collega che ci chiama, il nostro QI si abbassa notevolmente.
E non solo: anche uno studio condotto dall’Università del Sussex pubblicato su Plos One, che ha coinvolto un campione di 75 persone di circa 25 anni di età, è arrivato allo stesso risultato. Ai partecipanti è stato somministrato un questionario sulle abitudini di utilizzo di diversi strumenti: giornali, televisione, streaming tramite PC, SMS, e-mail, app. Su 40 di essi è stata poi eseguita una risonanza magnetica che ha evidenziato come nelle persone più multitasking vi fosse una quantità minore di materia grigia nella corteccia cingolata anteriore, l’area del cervello umano che controlla le funzionalità emotivo-cognitive.
Ricordiamoci che ci connettiamo con la tecnologia, non con le persone
In un ristorante vi siete mai guardati intorno? Spesso altro non è che una stanza piena di persone, tutte sedute ai tavoli con presumibilmente altre persone che conoscono e hanno un certo livello di affetto, che fissano uno schermo illuminato.
La tecnologia ha reso il mondo più piccolo in molti modi, dandoci accesso a tutto, anche alla Biblioteca di Alessandria di Egitto. Ma ha anche aumentato lo spazio nelle nostre relazioni al punto in cui non parliamo più.
Forse il primo passo è semplicemente riconoscere che più ci circondiamo di tecnologia, più ne diventiamo dipendenti. Le conversazioni digitali sono molto diverse da quelle del mondo reale. Quando la tecnologia intelligente aiuta a rimuovere gli ostacoli alla comunicazione, è una buona cosa; ma quando sostituiamo la tecnologia con relazioni e conversazioni reali, ciò può avere conseguenze devastanti nel mondo vero.
Fonti: Lamberto Maffei, Elogio della lentezza / Harvard University / Daniel J Levitin, The Organized Mind: Thinking Straight in the Age of Information Overload / Rai Play Presa Diretta / Plos One (linkaffiliazione)
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