Un portoghese che compone i suoi primi scritti in inglese, un poliedrico, un insofferente, un inquieto. Chi era Fernando Pessoa.
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Un portoghese che compone i suoi primi scritti in inglese, un poliedrico, un insofferente, un inquieto. Fernando Pessoa, al secolo Fernando António Nogueira Pessoa, autore dei più bei versi del 1900, ha attorno alla sua figura qualcosa di enigmatico, che investe e invade gran parte della sua vita e delle sue opere.
Oltre ad essere il maggior autore della cosiddetta eteronimia, il critico letterario Harold Bloom lo definì, insieme con Pablo Neruda, il poeta più rappresentativo del XX secolo.
Bevve molto nel corso dei suoi anni, tanto da morire a 47 anni di cirrosi epatica. L’ultima frase che scrisse è in inglese “I know not what tomorrow will bring”.
Fernando Pessoa la storia
“Non so dove ci porterà il domani”, e questo Fernando Pessoa lo ha pensato forse non soltanto alla fine dei suoi giorni. Nacque a Lisbona il 13 giugno 1888 da Madalena Pinheiro Nogueira e Joaquim de Seabra, un critico musicale. Ma il padre morì molto presto a causa di una tubercolosi e così nel 1895 fu costretto a seguire la madre in Sud Africa, questa volta sposa del comandante Joào Miguel Rosa, console portoghese a Durban.
Studiò in Africa, secondo un’educazione di stampo britannico, fino all’esame di ammissione all’Università di Città del Capo e fino a raggiungere quella perfetta conoscenza dell’inglese con cui scriverà sin da subito poesie.
Nel 1905 tornò definitivamente a Lisbona dove proseguì la produzione di poesie in inglese. Si immatricolò anche, ma abbandonò subito, al corso superiore di lettere dell’Università di Lisbona. Fu allora che entrò in contatto con importanti scrittori della letteratura portoghese e cominciò a seguire l’opera di Cesário Verde e i sermoni di Padre Antônio Vieira sul Quinto impero. Si impiegò in seguito, lavoro che manterrà per tutta la vita, come corrispondente di francese e inglese per varie ditte commerciali, pur avendo in attivo collaborazioni con parecchie riviste (è in questo periodo che ebbe inizio, nel 1920, una storia con Ophelia Queiroz, impiegata in una delle ditte di import e export per le quali Fernando lavorava. Probabilmente l’unica avventura sentimentale della sua vita, finita nel 1929).
Fernando Pessoa fu ricoverato nel novembre 1935 all’ospedale di Luís dos Franceses per una crisi epatica dovuta all’abuso di alcool e il 30 novembre morì all’età di 47 anni.
Fernando Pessoa, scritti e attività letteraria
È il 1913, a 25 anni, quando Pessoa, dopo aver vissuto l’esperienza del Saudosismo di Teixeira de Pascoaes (un movimento d’ispirazione simbolista con connotazioni mistico-panteistiche e nazionaliste), lancia il “paulismo” (dalla prima parola – Pauis – con cui inizia la poesia “Impressioni del crepuscolo”, pubblicata nel febbraio del 1914. Nel contempo comincia a collaborare con varie riviste, come “A Aguia” e “Portugal Futurista”. In quegli anni, fanno la loro prima apparizione gli eteronimi Alberto Caeiro, Ricardo Reis e Álvaro de Campos, oltre al già citato il Chevalier de Pas.
Nel 1915 con Mário de Sá-Carneiro, Almada Negreiros, Armando Córtes-Rodriguez, Luis de Montalvor, Alfredo Pedro Guisado e altri, crea la rivista d’avanguardia “Orpheu”, che ricalca i toni del futurismo, del paulismo e del cubismo. Il lavoro della rivista non dura a lungo, anche perché fu subito immerso in un mare di polemiche nell’ambiente letterario portoghese. Da allora, Fernando Pessoa si interessa anche all’esoterismo e alla teosofica, dando un’impronta differente alle opere che verranno.
Nel 1926, in un’intervista a un giornale portoghese, dopo il colpo di stato militare che apre le porte al regime salazariano, Fernando Pessoa espone le sue teorie del “Quinto Impero”, che riguardano l’attualizzazione delle profezie di Bandarra (il ciabattino di Trancoso) scritte nella prima metà del XV secolo, secondo le quali il re Don Sebástian, dato per morto nel 1578 nella battaglia di Alcazarquivir, sarebbe tornato intenzionato a istituire un regno di giustizia e di pace. È proprio il “Quinto Impero”, che il Portogallo dovrà per forza attuare con la cultura e non militarmente o politicamente.
Nel 1934, Fernando cura personalmente e pubblica “Mensagem”, l’unica raccolta di versi in lingua portoghese. Soltanto dopo la sua morte, infatti, avverrà la pubblicazione della sua opera, che comprende scritti di teologia, occultismo, filosofia, politica, economia e altre discipline.
Nel 1942 è stato pubblicato “Poesias de Fernando Pessoa” e a seguire “Poesias de Álvaro de Campos” (1944), “Odes de Ricardo Reis” (1946), “Poemas de Alberto Caeiro” (1946), “Poemas dramaticos” (1952), “Poesias ineditas” (1955 e 1956), “Quadras ao gosto popular” (1965), “Novas poesias ineditas” (1937), “Poemas” inglese (con le traduzioni di Jorge de Sena, Adolfo Casals Monteiro e José Blanc de Portugal, 1974), “Livro de Desassossego” (1982).
L’eteronimia, la creazione di Fernando Pessoa l’inquieto
Aveva soli 6 anni e Fernando già creò il suo primo pseudonimo, tale Chevalier de Pas. Un “evento” che lo stesso Fernando racconterà più tardi ad Adolfo Casais Monteiro in una lettera del 13 gennaio 1935, in cui spiega proprio l’origine degli eteronomi.
“[…] Ricordo, così, quello che mi sembra sia stato il mio primo eteronimo o, meglio, il mio primo conoscente inesistente: un certo Chevalier de Pas di quando avevo sei anni, attraverso il quale scrivevo lettere a me stesso, e la cui figura, non del tutto vaga, ancora colpisce quella parte del mio affetto che confina con la nostalgia.”
Dalla lettura dell’opera di Pessoa si delinea una personalità complessa e dettata da quella fervida fantasia che tendeva a creare tutt’attorno sé un mondo fittizio. Lui non firmò mai con il suo nome – pubblicò con il proprio nome solo cinque volumetti di poesie: 35 Sonetts (1918), Antinous (1918), English Poems I-II e English Poems III (1921) in inglese; Mensagem (1934) in portoghese – ma inventò gli eteronomi: non pseudonimi ma “personalità poetiche autentiche e complete”.
È in questo modo che l’autore portoghese ha rappresentato l‘essere inquieto, quelle turbolenze dell’uomo del ‘900, nascondendo la propria identità sotto una moltitudine di eteronimi (più di 40), una sorta di alter ego poetici con tanto di biografie e di un proprio stile. Con gli eteronimi di Alberto Caeiro, Ricardo Reis, Álvaro de Campos mise giù poesie e prose, a partire da quel Chevalier de Pas dell’infanzia, tramite cui Fernando piccolo scriveva lettere a se stesso. Ha invece un nome anglosassone, Alexander Search, il corrispondente creato dalla sua penna mentre viveva in Sud Africa, personaggio che si evolverà negli anni successivi fino a diventare uno dei suoi eteronimi.
Un modo, quello di creare continuamente degli alter ego, che un po’ risponde all’esigenza dell’autore portoghese di cercare di studiare i suoi personaggio e capire cos’è che manca a lui stesso, in una sorta di nosce te ipsum che fa di Pessoa un grande protagonista di una letteratura quasi esistenzialista. Questo è esattamente quello che fa nel suo “Libro dell’inquietudine”, in cui mette per iscritto le riflessioni rispetto a quella che lui definisce “monotona e limitante condizione di uomo”.
Fernando Pessoa, le frasi celebri
- Non sono niente,
non sarò mai niente,
non posso voler essere niente.
A parte questo ho dentro di me tutti i sogni del mondo.
(Tabaccheria, Poesie di Álvaro de Campos)- Tutto è imperfetto, non c’è tramonto così bello da non poterlo essere di più.
(Il libro dell’inquietudine)- La solitudine mi sconforta; la compagnia mi opprime.
(Il libro dell’inquietudine)- Siediti al sole.
Abdica e sii re di te stesso.
(Una sola moltitudine)- Che cosa so di quel che sarò, io che non so che cosa sono?
(Poesie di Alvaro de Campos)- L’unico modo di andare d’accordo con la vita è essere in disaccordo con noi stessi.
(Il libro dell’inquietudine)- Due persone dicono reciprocamente “ti amo”, o lo pensano, e ciascuno vuol dire una cosa diversa, una vita diversa, perfino forse un colore diverso o un aroma diverso, nella somma astratta di impressioni che costituisce l’attività dell’anima.
(Il libro dell’inquietudine)- Non amiamo mai nessuno. Amiamo solo l’idea che ci facciamo di qualcuno. È un concetto nostro quello che amiamo: insomma, amiamo noi stessi.
(Il libro dell’inquietudine)- Io non ho fatto altro che sognare. È stato questo, e solo questo, il senso della mia vita. Non ho mai avuto altra vera preoccupazione se non la mia vita interiore. I più grandi dolori della mia vita si attenuano quando, aprendo la finestra che dà dentro di me, posso dimenticare me stesso alla vista del suo movimento
(Il libro dell’inquietudine)- Se almeno da fuori io fossi tanto interessante
come lo sono dentro…..!
(Un’affollata solitudine)- Per quanto ci spogliamo di ciò che abbiamo indossato, non raggiungiamo mai la nudità, perché la nudità è un fenomeno dell’anima, e non un togliersi il vestito.
(Il libro dell’inquietudine)- Essere poeta non è una mia ambizione.
È la mia maniera di stare solo.
(Una sola moltitudine)- Dormo quando sogno quello che non c’è; mi sveglio quando sogno quello che può esistere.
(Il libro dell’Inquietudine)- Vivo sempre nel presente. Non conosco il futuro. Non ho più il passato. L’uno mi pesa come la possibilità di tutto, l’altro come la realtà di nulla. Non ho speranze né nostalgie.
(Il libro dell’inquietudine)- Se scrivo ciò che sento è perché in tal modo diminuisco la febbre di sentire.
(Il libro dell’inquietudine)- Felicità è fuori dalla felicità. Non c’è felicità se non con consapevolezza. Ma la consapevolezza della felicità è infelice, perché sapersi felice è sapere che si sta attraversando la felicità e che si dovrà subito lasciarla. Sapere è uccidere, nella felicità come in tutto.
(Il libro dell’inquietudine)- Mio Dio, mio Dio, a chi assisto? Quanti sono io? Chi è io? Cos’è questo intervallo che c’è tra me e me?
(Il libro dell’inquietudine)- La morte è la curva della strada,
morire è solo non essere visto.
(Una sola moltitudine)- Ho tutte le condizioni per essere felice, tranne la felicità.
(L’educazione dello stoico)
- Una sola cosa mi meraviglia più della stupidità con la quale la maggior parte degli uomini vive la sua vita: l’intelligenza che c’è in questa stupidità.
(Il libro dell’inquietudine)- Ci sono momenti in cui tutto ci stanca, perfino ciò che potrebbe riposarci, quello che ci stanca perché ci stanca; quello che potrebbe riposarci perché l’idea di ottenerlo ci stanca.
(Il libro dell’inquietudine)- Vivere è morire, perché non abbiamo un giorno in più nella nostra vita senza avere, al contempo, un giorno in meno.
(Il libro dell’inquietudine)- Il tedio… Pensare senza che si pensi, con la stanchezza di pensare; sentire senza che si senta, con l’angoscia del sentire; non volere senza che non si voglia, con la nausea di non volere.
(Il libro dell’inquietudine)- Il vero male, l’unico male, sono le convenzioni e le finzioni sociali, che si sovrappongono alla realtà naturale.
(Il banchiere anarchico)- Quello che distingue le persone le une dalle altre è la forza di farcela, o di lasciare che sia il destino a farla a noi.
(Il libro dell’inquietudine)- Non so chi sono, che anima ho.
Quando parlo con sincerità non so con quale sincerità parlo. Sono variamente altro da un io che non so se esiste.
(Una sola moltitudine)- Dio non ha unità. Come potrei averla io?
(Poesie esoteriche)- Il mondo è di chi è nato per conquistarlo, e non di chi sogna, a buon diritto, di poterlo conquistare.
(Tabaccheria, Poesie di Álvaro de Campos)- Il cuore, se potesse pensare, si fermerebbe.
(Il libro dell’inquietudine)
Germana Carillo