Era da anni che ci provavo, e alla fine ci sono riuscito: sono andato in Senegal, pacifico Stato affacciato sulle coste dell'oceano Atlantico, all'estremo ovest del continente Africano.
Era da anni che ci provavo, e alla fine ci sono riuscito: sono andato in Senegal, pacifico Stato affacciato sulle coste dell’oceano Atlantico, all’estremo ovest del continente Africano.
Una terra unica, piena di brutti ricordi legati prima al colonialismo, poi alla deportazione degli schiavi, in cui si conserva però uno spirito di convivenza introvabile altrove. Basti pensare che lì, al contrario di quanto succede in molti altri Paesi, cattolici e musulmani convivono pacificamente, arrivando addirittura a sposarsi o a condividere uno stesso cimitero.
Se ben dodici anni fa ho perso l’occasione di viaggiare in compagnia di alcuni amici di quel fantastico Paese, questa volta l’ho potuto fare con altre persone, di cui tre senegalesi. Non dei senegalesi qualunque, ma delle guide eco-turistiche. Ciò che ho fatto, insieme a loro ed altri quattro amici, è stato infatti uno dei cosiddetti “Viaggi del turismo responsabile” organizzati dal Wwf Italia in collaborazione con il Wwf Wamer (quello dell’Africa occidentale). Una vacanza, sì, ma anche e soprattutto un modo per toccare da vicino, e finanziare, progetti di eco-sostenibilità e di supporto alle economie locali.
Il viaggio si è inserito, infatti, nel contesto più ampio delle attività di cooperazione del Wwf in Senegal, dove l’associazione cerca di agire sul fronte ambientale per lo sviluppo e la messa in rete delle aree marine protette. Il tutto fornendo parallelamente strumenti per uno sviluppo responsabile della pesca, della filiera della trasformazione del pescato e del turismo.
L’idea di questo progetto è, in sostanza, quella di creare o supportare le opportunità di lavoro nuove e sostenibili per la popolazione locale, anche come strumento di lotta all’emigrazione clandestina, che miete vittime e impoverisce di risorse giovani le società locali.
Nell’arco di una decina di giorni ho avuto quindi modo di intraprendere un viaggio in cui ho potuto visitare cinque progetti sparsi per tutto il Paese.
Il primo di questi è stato quello condotto dal Comitato di gestione dell’Area Marina Protetta (Amp) di Joal Fadiouth, a circa 110 km a sud della capitale Dakar, dove un gruppo di volontari locali composto da rappresentanti dei pescatori, delle donne trasformatrici, dell’ente locale per il turismo, dell’associazione per la protezione delle tartarughe marine, ma anche della municipalità e della stampa locale, si occupa della gestione della Amp stessa, insieme ai conservatori dell’ente dei Parchi Nazionali Senegalesii.
Pensare che la nostra visita abbia contribuito a supportare sia le genti che gli ecosistemi locali mi ha riempito di gioia, e forse anche di orgoglio. Del resto, attività come il monitoraggio dell’area marina protetta al fine di garantire il rispetto delle nuove regole impartite alla pesca nella zona prescritta, oppure lo sviluppo di materiale utile alla sensibilizzazione sui temi dell’ambiente e della biodiversità da divulgare nelle scuole, sempre nell’ottica di far capire alle persone del luogo quanto sia importante una gestione comunitaria del territorio più sostenibile, mi hanno fatto provare un certo piacere.
Tipico auto-compiacimento dell’ambientalista di turno? Può darsi. Sta di fatto che questa sensazione me la sono trascinata anche attraverso gli altri quattro progetti. Che, di volta in volta, vi porterò a scoprire.
foto e testi: Andrea Bertaglio