Un paradiso quasi perduto. Si tratta delle zone umide nel Sud dell’Iraq. Ambienti che offrono un panorama unico al mondo, dove un tempo viveva un popolo conosciuto come Ma’dam, o “Arabi della palude”.
Un paradiso quasi perduto. Si tratta delle zone umide nel Sud dell’Iraq. Ambienti che offrono un panorama unico al mondo, dove un tempo viveva un popolo conosciuto come Ma’dam, o “Arabi della palude”.
Si trattava – e in parte si tratta ancora – di una sorta di Venezia mesopotamica, caratterizzata da case galleggianti realizzate interamente con canne raccolte in queste aree paludose e lavorate a mano. Queste meraviglie architettoniche sono poco conosciute.
Si chiamano mudhif e sono state costruite senza chiodi, legno o vetro. Basterebbero soli tre giorni per realizzarle. Le loro fondamenta sono fango compattato e giunchi. Si tratta di un metodo di costruzione che sarebbe stato utilizzato dagli abitanti delle pianure dell’Iraq per migliaia di anni, ma negli ultimi decenni questa forma di architettura alternativa è scomparsa quasi del tutto e rischia di perdersi completamente insieme alla tecnica di costruzione, unica nel proprio genere.
Perché un patrimonio dell’umanità di questo genere è destinato a scomparire? Si ritiene che, come con la maggior parte delle giustizie che hanno rovinato l’Iraq nel 20esimo secolo, la distruzione di questo paradiso mediorientale sia avvenuta a causa delle decisioni di Saddam Hussein.
Infatti pare che le paludi e le case galleggianti siano state considerate a lungo un rifugio dal governo Hussein, così come nei secoli passati probabilmente hanno rappresentato le dimore di schiavi e servi fuggiti dai loro padroni. Nel 1991 Saddam aveva prosciugato le paludi del Sud dell’Iraq per punire quella parte della popolazione che avrebbe appoggiato i suoi avversari.
In breve tempo questi paesaggi con le loro costruzioni sono stati bruciati e distrutti e le paludi lussureggianti si sono purtroppo trasformate in deserti, vista la scarsità d’acqua. Nel 2003 è però iniziata una ripresa. Le comunità locali sono riuscite a ripristinare almeno una parte delle zone umide.
L’ecosistema però richiederà molto più tempo per ritornare così com’era, rispetto alla facilità e alla rapidità che sono bastate per distruggerlo. Ormai molti Arabi delle paludi hanno abbandonato la zona e chi è rimasto vive purtroppo in condizioni disagiate, senza la disponibilità di acqua potabile.
C’è però una speranza per la Venezia del Medio Oriente. L’associazione Nature Iraq, fondata da un ingegnere iracheno-americano, sta entrando in azione per ripristinare questi luoghi, con il supporto di Stati Uniti, Canada, Giappone e Italia. Alcune capanne possono già offrire sistemazioni per accogliere i turisti che vogliano pranzare in compagnia e condividere le proprie idee sul futuro dell’Iraq. Per saperne di più, visitate la pagina Facebook di Nature Iraq.
Fonte foto: messymessychic.com