Viaggio in Senegal 5: il sovra-sfruttamento ittico africanoanche “Made in Europe”

Nel corso di questo viaggio in Senegal, come abbiamo visto, sono potuto entrare in contatto con realtà veramente interessanti. Fra queste, ce n'è una in cui sono potuto penetrare un poco più a fondo: quella dei pescatori.

Nel corso di questo viaggio in Senegal, come abbiamo visto, sono potuto entrare in contatto con realtà veramente interessanti. Fra queste, ce n’è una in cui sono potuto penetrare un poco più a fondo: quella dei pescatori.

La pesca è la prima fonte di occupazione del Paese, e il Senegal ha i mari più ricchi di pesce dell’intera Africa occidentale. Questi, purtroppo, sono da lungo tempo sovra-sfruttati dai pescherecci europei e asiatici, tanto che un peschereccio europeo pesca in un giorno tanto pesce quanto 56 piroghe locali in un intero anno.

A tal proposito, sono andato a incontrare Abdou Karim Sall, combattivo presidente dell’Associazione pescatori senegalese, che mi ha descritto una situazione incredibile. Da quelle parti, infatti, c’è una vera e propria mafia della pesca, molto legata anche al nuovo governo che ha bloccato le licenze ai pescherecci esteri, ma che ha messo in piedi l’assurdo sistema dei “Bateaux Mixtes”.

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In cosa consiste? Dall’Europa alcuni soggetti donano dei pescherecci a pescatori senegalesi (scelti dai “veri” proprietari delle imbarcazioni); questi possono pescare ciò che vogliono, senza nemmeno pagare tasse; il pescato viene venduto sul mercato internazionale e, illegalmente, il ricavato viene suddiviso fra donatori e nuovi proprietari dei battelli, spesso ministri, avvocati o altri pezzi grossi senegalesi.

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In sostanza, il nuovo governo di Dakar, insediatosi nel maggio dello scorso anno, ha bloccato le licenze ai pescherecci stranieri, ma ha messo in piedi un sistema di finte donazioni e corruzione che, sotto certi aspetti, sta anche peggiorando la situazione.

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Oltre all’aspetto ambientale, c’è quello sociale. Abdou Karim Sall, presidente dell’Associazione senegalese dei pescatori, mi diceva infatti che, di questo passo, entro dieci anni potrebbe non esserci più pesce, in quei mari, e che si potrebbe presto sviluppare (come già successo nel corno d’Africa) la piaga della pirateria, oltre che vari conflitti ed emigrazione clandestina verso l’Europa.

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I sintomi già ci sono, in effetti. Per questo, o meglio, anche per questo, Abdou Karim sta facendo il possibile per sensibilizzare i cittadini europei a fare attenzione a come, quanto e quale pesce consumano. Ma soprattutto sta chiedendo all’Unione europea di fare qualcosa per fermare questo scempio. Chissà se verrà mai ascoltato. Da noi, prima ancora che dalle sorde istituzioni.

foto e testi: Andrea Bertaglio

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