La seconda tappa del mio viaggio in terra senegalese mi ha portato in un posto magico: l'isola di Fadiouth. Questo angolo di paradiso, in cui le foreste di mangrovie si affacciano sulle coste dell'oceano Atlantico e danno modo di coltivare ostriche sulle loro radici, ospita un villaggio su un'isola interamente formata da conchiglie.
La seconda tappa del mio viaggio in terra senegalese mi ha portato in un posto magico: l’isola di Fadiouth.
Questo angolo di paradiso, in cui le foreste di mangrovie si affacciano sulle coste dell’oceano Atlantico e danno modo di coltivare ostriche sulle loro radici, ospita un villaggio su un’isola interamente formata da conchiglie.
Queste, accumulatesi per millenni, formano strati che oggi arrivano ad avere uno spessore da otto a undici metri. Un luogo davvero unico, in cui si trova un cimitero speciale, dove tombe piene di fiori colorati si sdraiano intorno a enormi baobab, sempre in un mare di conchiglie bianche. Un posto dalla bellezza surreale, però famoso anche per un altro motivo: è pacificamente condiviso da cattolici e musulmani.
Nel villaggio di Fadiouth, raggiungibile attraverso un lungo ponte di legno costruito nel 1960, si trova anche un presidio Slow Food. Lì, grazie al lavoro di venti donne del posto e con il supporto del comune di Fossano (CN), da due anni ci si impegna a salvaguardare una filiera antica: quella del miglio sunnà, varietà per anni fortemente in calo.
Da sempre, la comunità indigena dei Seerer è la maggior produttrice di miglio sunnà, e al gruppo di donne appartenenti a questo popolo di agricoltori e pescatori si deve la preparazione, grazie a questo cereale, di un prodotto decisamente speciale: il cous cous salato dell’isola di Fadiouth.
Per ottenere un cous cous di qualità servono almeno due giorni di preparazione. Le donne Seerer, per prepararlo, si ritrovano la sera e raccolgono il miglio che utilizzeranno per fare la farina. Una volta recuperato il cereale, lo setacciano e lo lavano in mare. Ecco perché è salato, e perché è molto importante che le acque marine intorno all’isola restino sempre pulite.
Una volta lavato, il miglio viene macinato e la semola che se ne ottiene viene lavorata a mano e setacciata a sua volta fino a che non si trasforma in piccoli chicchi di cous cous. Fatto ciò, le donne di Fadiouth lo sistemano in zucche tradizionali, lo ricoprono con un panno e lo lasciano fermentare tutta la notte. Al mattino, dopo avere aggiunto della polvere di foglie di baobab (usata come addensante), si procede alla cottura, per poi servirlo con crema di arachidi, carne, molluschi o salsa di fiori di mangrovia. Una vera prelibatezza, fidatevi.
Questo prodotto, che si è sempre consumato e venduto solo in loco, ha da poco ottenuto l’autorizzazione dal Ministero del Commercio per la vendita sul mercato nazionale. Una possibilità ottenuta grazie al lavoro delle donne del Presidio, che con Slow Food e il fondamentale supporto tecnico di Aziz El Yamalahi (esperto nella produzione di cous cous), hanno migliorato notevolmente le condizioni igienico-sanitarie della trasformazione e conservazione di un prodotto tipico che, per poco, non ha rischiato di scomparire per sempre.
Andrea Bertaglio
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