Viaggiare è, spesso, un riconnettersi col proprio mondo attraverso un mondo che in realtà – paradossalmente – non è il tuo. O non è il tuo fino a quando non ci entri in punta di piedi e ne conosci, e ne accetti, la storia e le sue differenze. Portare un oggetto di quel mondo a casa propria quando si fa rientro potrebbe essere un modo per non tagliare quel sottile filo che si è creato, tra te e una cultura altra. Ecco perché un “souvenir” non va comprato a caso. Se non se ne conoscono bene provenienza e modi di produzione, meglio non comprarne affatto
Una giraffa in legno fa capolino da sopra a una mensola, una improbabile palla con una simil neve dentro presa a Budapest è lì ferma da anni (si sarà anche pietrificata), mentre bello sì quel tappeto che hai comprato in Turchia… Sono i classicissimi souvenir che, per natura, sono pensati per rappresentare un frammento di un luogo non nostro. Ma quanto c’è di etico dietro a un loro acquisto? E in quale misura il viaggiatore più attento dovrebbe ponderare l’idea di prendere o meno un souvenir?
I più esperti parlano di vera e propria “appropriazione culturale”, un atto che, in qualche modo, fa nostro un pezzettino seppur minuscolo di un mondo che non ci appartiene, per ricordarne e raccontarne le linee, un posto, le sfumature, la gente. Ci potrebbe essere questo e molto altro nel proposito di acquistare un souvenir che non sia la più banale delle calamite da mettere sul frigo (sulla cui fattezza ci sarebbe in ogni caso molto da discutere).
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Camminare nei meandri di una “appropriazione” culturale può essere particolarmente difficile quando ci si trova magari in un mercato dall’altra parte del mondo, con pochissima familiarità della stessa cultura locale. E sfortunatamente, anche con le migliori intenzioni, si verificano passi falsi, lasciando molti con una domanda: qual è l’onere dei viaggiatori per garantire che i loro acquisti siano poco etici?
Noelle Kahanu, specialista in scienze umane pubbliche e programmi nativi hawaiani all’Università delle Hawaii a Mānoa, porta l’esempio del desiderio del popolo hawaiano di doni e di scambi tra loro e il mondo esterno:
Gli hawaiani volevano proiettare il loro mana, o le cose che per loro contavano, che incarnassero ciò che erano le Hawaii e quel desiderio di manifestare [quelle cose] altrove è qualcosa che ci accompagna da secoli.
La domanda allora è: per quale scopo avviene uno scambio? Acquistiamo souvenir o cerchiamo regali come custodi della memoria? E, soprattutto, quell’acquisto è destinato a sostenere la comunità artistica locale? Oppure si tratta semplicemente di trovare qualcosa per soddisfare un vago bisogno: un gingillo per qualcuno che si aspetta un regalo al tuo ritorno; oppure qualcosa di “vagamente tropicale” solo perché potrebbe stare benissimo nel nuovo bagno degli ospiti.
Cosa dovremmo realmente fare per acquistare souvenir eticamente
Chiederci senza dubbio cosa si nasconde dietro, fare un passo indietro e dare un’occhiata alle intenzioni del viaggio stesso: perché stiamo viaggiando e quale impronta vogliamo lasciarci alle spalle. Ciò alla fine ci porterà a esperienze più ricche e ci aiuterà a scoprire souvenir con cui abbiamo una vera relazione.
Quando si tratta dell’effettivo processo di acquisto ci sono alcune cose da tenere a mente:
- la prima cosa è dare davvero priorità al significato tradizionale e al contesto originale del prodotto, oltre a comprarlo per le virtù estetiche
- informiamoci da dove proviene l’articolo che ci interessa: è contraddittorio tornare dall’Uganda con tessuti tipici dell’Africa occidentale oppure col cappello Juju, che viene dal Camerun, dai mercati di Città del Capo
- facciamo ricerche prima di effettuare acquisti
- se regaliamo un oggetto particolare, facciamo in modo che ci lo riceve in dono conosca la storia e le tradizioni che si porta appresso. Raccontare la storia è un antidoto molto critico all’appropriazione
In definitiva? L’oggetto che stiamo adocchiando è realizzato da qualcuno della cultura che rappresenta ed ha un prezzo equo? Se sì, compriamolo pure ma ad un patto: facciamoci raccontare la sua storia perché, a lungo termine, non si tratterà soltanto di come acquistiamo gli articoli, ma di come continuiamo a interagire con essi.
Appesi al muro o su uno scaffale, ci ricorderanno che viaggiare è ricchezza culturale impareggiabile, è conoscere altri popoli e altre usanze. È imparare a rispettare ogni singola persona che c’è dietro a quei magnifici colori sgargianti.
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