Dal 1950 si vede solo il campanile spuntare dalle acque, in questi giorni la società idroelettrica ha svuotato l’invaso.
Al lago di Resia, in Val Venosta, sono in corso lavori di manutenzione e il livello dell’acqua è stato abbassato. Sono così riaffiorati i resti del piccolo paese che fu sommerso nel 1950. Una attività che si ripete da allora con cadenza regolare, e che ogni volta offre una punta di nostalgica amarezza.
Quello di Resia è il più grande lago artificiale dell’Alto Adige, con 120 milioni di metri cubi di capacità di invaso, e alimenta la centrale idroelettrica di Glorenza. È il primo impianto della cascata degli impianti della Val Venosta, che termina a Marlengo.
Uno spettacolo per chi lo visita, con un campanile che riaffiora dall’acqua che dà un senso di fiaba in mezzo a maestose montagne tutt’attorno e piste ciclabili da percorrere almeno una volta.
La storia legata a questa immagine è però meno romantica. Qui, nel Comune di Curon, quel campanile sommerso rimanda a un triste ricordo. In questa zona, infatti, un tempo, si trovavano tre laghi naturali: oltre quello di Resia, c’erano il Curon e il San Valentino alla Muta. Nel 1950, vennero unificati con la costruzione di una diga.
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L’opera provocò la completa sommersione dell’antico centro abitato di Curon, 163 case che vennero in pratica trasferite altrove. Lo sbarramento costò svariati miliardi delle vecchie lire e fu al centro dell’ira degli abitanti, che si rivolsero addirittura al Papa per evitarne la costruzione. Ma tutto invano: l’acqua invase case e terreni coltivati.
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Solo in inverno, quando il lago diventa ghiacciato, il campanile può essere raggiunto a piedi ma purtroppo, numerose infiltrazioni d’acqua minacciano la sua integrità. Oggi il campanile di Curon è uno dei punti più suggestivi di tutta l’area. La leggenda vuole che, nelle rigide notti invernali, qualcuno senta ancora le sue campane suonare.
Fonte: Castelli d’Italia Twitter
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