Cemento, asfalto, smog, rumore, la vita in una grande metropoli per chi ama la natura è dura, queste le premesse del mio campo WWF in Abruzzo. Non mi importava di partire da solo.
Cemento, asfalto, smog, rumore, la vita in una grande metropoli per chi ama la natura è dura, queste le premesse del mio campo WWF in Abruzzo. Non mi importava di partire da solo.
Località Cortino, nel Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, vacanza impostata come un “campo” con attività di escursionismo e di yoga, da base una struttura scout, in stile piuttosto minimal; da lì insieme ad altri 10 avventurieri ho esplorato le bellezze naturali, i panorami, il costume locale, i sapori tipici.
I giorni sono scanditi dall’allenamento quotidiano che comprende 2 lezioni di yoga e lunghe camminate, a volte sostituite da percorsi in bici o lezioni di arrampicata, ma la magia di quei luoghi, l’aria pulita, il flebile suono della natura non danno spazio alla stanchezza.
Il trekking in quei luoghi incontaminati è un avvicendarsi di continue sorprese. Non bastano i panorami, per i quali non esisteranno mai parole né foto adeguate a descriverli; bisogna viverli per apprezzare davvero l’emozione che regalano. Al variare della quota, sempre nuove sorprese, il mutare della vegetazione, le improvvise formazioni rocciose che affiorano sorprendentemente tra un prato e l’altro e l’influenza lasciata dai pascoli.
Eh già, perché i pascoli finiscono quasi per degradare l’ambiente puramente naturale: in alcuni luoghi gli alberi sono abbattuti per lasciar posto ai pascoli; a quote intermedie vengono costruite delle capanne in legno quasi da “indiani” in cui ricoverare gli animali in inverno.
Tutto green come la natura che ti circonda, ma queste esperienze portano ognuno a serie riflessioni sulla sostenibilità della nostra dieta, sull’impatto dei cibi di origine non vegetale… fin quando potremo segare alberi per lasciare posto ai pascoli?
Le sorprese delle passeggiate non finiscono qui. Gli incontri ravvicinati con mucche, pecore, cavalli e pony, a volte anche allo stato brado, sono all’ordine del giorno. Gli animali sono tranquilli e si lasciano avvicinare.
Tutti conosciamo i frutti di bosco, ma coglierli direttamente sul posto, assaggiarli per calmare la fame e la fatica di una salita in montagna è un’esperienza che lascia il segno non solo nel gusto. Assapori l’aroma rustico di un frutto appena colto e maturato senza un minimo segno di inquinamento.
E poi l‘acqua, elemento di cui si comprende dal vivo la preziosità e l’importanza: si scoprono ruscelli e piccoli laghi, essendo estate si osservano corsi in magra che circolano in letti enormi; all’interno dei boschi, tra rami che oscurano la luce, si aprono cascate improvvise, da film, e si finisce per saltare come ranocchie sui ciottoli alla loro base. E non solo: i resti di un mulino, proprio lì, accanto a un corso d’acqua per recuperarne immediatamente l’energia (rinnovabile!) e incanalarla per la produzione di una fonte primaria di sostentamento. Peccato sia stato dismesso.
La vita quotidiana nel campo, semplice e spartana, lascia un indelebile segno di semplicità e la scia di riflessioni sul lusso e sugli sprechi.
Da segnalare una nota di gusto: al campo stesso è dedicata una cuoca d’eccezione che ha portato in tavola le maggiori rilevanze della cucina locale. Indimenticabili le virtù. Corrispondono a un piatto largamente diffuso in tutta Italia con diverse sfaccettature di regione in regione, una sorta di minestra con tanti ingredienti differenti. A noi è stata proposta una versione vegetale a base di legumi, diversi e in parte sconosciuti, e di pasta secca: grosso esempio di come evitare sprechi e smaltire esuberi, con grande gusto.
Similmente, durante la visita a un piccolo, locale e artigianale laboratorio caseario, il profumo e il sapore del formaggio appena fatto mi hanno fatto saggiare nuovi livelli di libidine.
E poi i rifugi che si incontrano nelle soste delle camminate, semplici e sostenibili, in cui ogni cosa è organizzata in modo da minimizzare gli sprechi, persino per la spazzatura, la cui gestione è spesso affidata ai turisti stessi che la hanno prodotta!
Una esperienza fondamentale è quella che mi ha portato sul tetto degli Appennini, fino alla vetta del Gran Sasso. Il Gran Sasso è in realtà un complesso di più vette, io e il mio gruppo abbiamo puntato alla maggiore: il Corno Grande!
In mattinata raggiungiamo in auto la località Prati di Tivo dove prendiamo l’ovovia all’apertura che ci porta fino a quota 2007 metri, località La Madonnina. Da lì ci attendono poco meno di tre ore di cammino per raggiungere la cima del Corno Grande a 2912 metri, oggi 2914 in seguito al terremoto del 2009.
La partenza è stata grandiosa, percorso roccioso piuttosto che su terra battuta, avevo la sensazione di essere così carico e prestante da avere energia da vendere, insieme con quella sensazione che nulla potesse fermarmi.
Abbiamo affrontato con la guida le difficoltà di un percorso non sempre ben segnalato. Una scalata emotivamente diversa dalle altre fatte prima. Ho raggiunto la cima e ho avuto bisogno di un momento solo mio, un momento in cui per smorzare la tensione o smaltire l’emozione, sotto gli inseparabili occhiali da sole è scesa qualche lacrima. Momenti in cui i pensieri si fanno più profondi.
In cima abbiamo trovato un diario su cui lasciare le nostre firme e una signora di circa 60 anni giunta in vetta senza scarpe da trekking! I paesaggi che vi attendono lì su sono indescrivibili, ci si rende conto di stare “sopra le nuvole” e che probabilmente si prende più sole di chi sta a quote minori. Uno spettacolo di vedute di laghi, città lontane, altre cime (inferiori) e anche i segni dell’inquinamento: strati di pulviscolo sopra i centri abitati.
La discesa mi ha insegnato qualcosa di nuovo: non sono più sicuro che scendere sia più difficile che salire, scendere sarà anche più impegnativo ma sicuramente è meno stancante. Da una parte mi sentivo energicamente meno attivo (sapevo bene dove stessi andandoJ) dall’altra la soddisfazione provata in vetta era tale da lasciare sorrisi indelebili e una sensazione di contentezza costante, ruzzolavo di corsa sulle pietre “come un capriolo” quasi incosciente del pericolo che correvano le mie caviglie.
Corre d’obbligo fare una precisazione per la stanchezza: dopo aver camminato per circa 5 ore quasi ininterrottamente mi sentivo ancora energico, con uno strano e reale stato di stanchezza solo fisica ma per nulla mentale.
Una grande esperienza con delle forti emozioni, delle fatiche ho solo un ricordo molto sbiadito.
Il campo in Abruzzo mi ha insegnato ad apprezzare e valutare località nascoste o meglio poco note, a volte vicine e poco stimate, ma alle quali non manca nulla per una vacanza degna di tale nome, per un’esperienza che lascia immagini e sensazioni capaci di far dimenticare la routine quotidiana e di spingerti verso riflessioni profonde sulla sostenibilità della vita di tutti i giorni. Torno a casa, sicuramente, con un bagaglio green che arricchisce pensieri e azioni da migliorare.
Giovanni Di Nardo
Questo racconto fa parte dell’edizione 2013 del concorso “Turista per scelta (green)”