A piedi da Pavia a Pontremoli lungo la via degli Abati

Quello di questa estate è stato un viaggio senza una vera destinazione, se non il viaggio stesso: quasi 200 chilometri a piedi da Pavia a Bobbio lungo la via degli Abati, percorsa un tempo dai monaci del monastero di San Colombano nei loro pellegrinaggi verso Roma.

Quello di questa estate è stato un viaggio senza una vera destinazione, se non il viaggio stesso: quasi 200 chilometri a piedi da Pavia a Pontremoli lungo la via degli Abati, percorsa un tempo dai monaci del monastero di San Colombano nei loro pellegrinaggi verso Roma.

Se fatto rispettando le tappe, il percorso dovrebbe prendere sette o otto giorni. Noi ne abbiamo a disposizione qualcuno in più, ma soprattutto abbiamo voglia di prendercela con calma. Cammineremo per undici giorni, fermandoci spesso a bere un caffè o una birra quando attraversiamo un paesino, chiacchierando con le persone che incontriamo per strada.

Lo zaino è abbastanza pesante: sacco a pelo, materassino, fornellino ad alcol autocostruito, pentole e viveri per essere il più indipendenti possibile, senza essere legati agli orari di arrivo nei paesi per mangiare e dormire.

Partiamo senza tenda: aggiungerebbe chili sulle nostre spalle e ci toglierebbe il piacere di addormentarci con le stelle a fare da soffitto.

Quello a cui invece non rinunciamo, nonostante il peso degli zaini, è il buon cibo: non consideriamo neanche l’idea di portare con noi pasta o zuppe liofilizzate, così amate dai viandanti per la loro leggerezza e la loro praticità. Prendiamo invece del cous cous, della quinoa e del riso basmati, che hanno il grande vantaggio di non richiedere molta acqua di cottura, qualche pomodoro, zucchina e cetriolo dell’orto, mezzo litro di olio d’oliva di quello buono, peperoncino e cardamomo per insaporire i nostri piatti, crackers integrali del mio fornaio di fiducia, un paio di marmellate fatte in casa, un po’ di miele e, come scorta di energia immediata, una buona quantità di zenzero candito preparato nei giorni precedenti. Durante il cammino raccoglieremo menta, ortiche e, ogni tanto, qualche fiore di zucca dai campi.

La prima tappa non ci riserva grosse emozioni: camminiamo in una pianura che non è poi così diversa da quella cremonese, dove entrambi abitiamo. Il paesaggio intorno a noi inizia a cambiare dopo una ventina di chilometri, quando al mais della pianura si sostituiscono le colline dell’Oltrepò pavese.

i vigneti tra Pometo e Ruino

I vigneti dell’Oltrepò pavese tra Pometo e Ruino

La sera ci fermiamo in un vigneto. Ci addormentiamo con uno sguardo alle luci della pianura, in compagnia di un nugolo di zanzare.

Dal giorno seguente il cammino si fa più piacevole: attraversiamo vigneti da cui staccare qualche grappolo d’uva, vediamo alberi da frutto che ci offrono fichi, prugne e mele, dose di zuccheri che ci aiutano ad affrontare il cammino.

Inizia a sentirsi, sporadicamente, l’odore delle conifere. Per me, marchigiana trapiantata a Cremona, è un toccasana rispetto all’aria stagnante di una pianura cui non riesco ad abituarmi. È un odore che porta con sé, al tempo stesso, l’idea di quel mare e di quella montagna che tanto mi mancano. Continuerò a riempirmene i polmoni per tutti i giorni successivi e, ogni volta che emergerà in mezzo a mille altri, prenderò il profumo delle conifere come un regalo dell’Appennino.

un bosco di conifere sullAppennino parmense

Un bosco di conifere sull’Appennino parmense

Compaiono anche i primi rovi, che da questo momento in poi diverranno il simbolo del nostro viaggio, sia perché il gusto dolciastro delle more ci accompagnerà per tutto il tempo, sia perché ci imbattiamo spesso in muri impenetrabili di rovi alla ricerca di improbabili scorciatoie.

Soprattutto, iniziamo ad incontrare gente curiosa del nostro viaggio, persone che ci guardano di volta in volta con stupore, ammirazione, incomprensione. Qualcuno, che non capisce il senso del nostro andare a piedi, si offre di accompagnarci in macchina, se non proprio fino a Pontremoli, almeno per un pezzettino. Altri trovano bellissima l’idea del viaggio a piedi e invidiano la giovinezza che ci permette di farlo (in realtà, anche se abbiamo l’aria e l’aspetto di due ventenni, né il mio compagno di viaggio né io siamo poi così giovani…). Chi non sembra affatto stupirsi sono i più anziani, che ci consigliano sentieri e scorciatoie che loro percorrevano in gioventù per andare in città a lavorare, a fare compere, o la sera per andare a ballare.

Abbiamo tempo, e ognuno di questi incontri si prolunga fino a diventare una piacevole chiacchierata, a volte anche di un’ora o due. Questi incontri e queste chiacchierate saranno il motivo del nostro arrivo «in ritardo» rispetto alla tabella di marcia prevista, ma saranno anche una delle cose più belle che ci porteremo dietro.

Indimenticabili le due ore ore passate a San Vincenzo di Borgotaro con la nonna Bruna, anziana signora con l’«hobby» di fermare i viandanti che passano sotto le sue finestre, offrire loro bevande fresche e chiacchiere piacevoli.

È un attimo, e anche noi siamo rapiti dalla semplicità di Bruna, di sua figlia Antonia, della loro amica Silvana e dei figli di quest’ultima.

sulla terrazza di nonna Bruna

Sulla terrazza di nonna Bruna

Quando ripartiamo ci rendiamo conto che non abbiamo chiesto alle tre donne molte tra le cose che di solito servono a facilitare la conversazione tra sconosciuti, come ad esempio che lavoro facciano. Eppure la sensazione che ci resta addosso è quella di conoscerle meglio di quanto abbiamo conosciuto chiunque da quando siamo partiti, con cui abbiamo intrattenuto conversazioni piacevoli e interessanti, ma forse più convenzionali. Ci rendiamo conto anche che, in tutto il tempo che abbiamo passato con loro, non abbiamo udito neppure una lamentela uscire dalle loro bocche, che fosse sul tempo, sul governo o sulle difficoltà della vita.

Attraversiamo boschi di castagni, di faggi, di noccioli, di querce, di abeti. Boschi e sentieri sempre diversi, con odori e colori caratteristici.

Vediamo un paio di caprioli, qualche scoiattolo, un riccio, molti rapaci e un numero infinito di libellule.

salendo verso Canevino

Sulla strada per Canevino

Attraversiamo paesini semidisabitati, di quelli in cui si torna d’estate a prendere il fresco, di quelli in cui metà delle case cadono in rovina. Paesini al cui confronto Bobbio, Borgotaro e Pontremoli sembrano grandi città rumorose e piene d’asfalto.

Dormiamo per lo più all’aperto, in mezzo ai pascoli, sul greto del fiume, davanti ai fienili o sui passi montani. Le notti stellate di agosto sono bellissime, siamo lontani dall’inquinamento luminoso della pianura e vediamo un cielo davvero nerissimo, con una quantità di stelle inimmaginabile, quando si è abituati a guardarlo dalla città.

il nostro letto al passo del Borgallo

Il nostro letto al passo del Borgallo

Del viaggio restano i suoni, gli odori, i colori, le chiacchiere e i lunghi silenzi, la riscoperta della lentezza di un tempo basato sulla luce del sole e sul ritmo del passo di un essere umano.

Martina Buldorini

Il racconto fa parte dell’iniziativa “Turisti per scelta…(green)

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