Chi vive in Calabria di certo conosce Pentedattilo, il piccolo borgo incastonato tra le montagne aspromontane della costa jonica della provincia di Reggio Calabria. Un piccolo paesino legato a leggende di fantasmi e storie di amori traditi dove il tempo sembra essersi fermato.
Chi vive in Calabria di certo conosce Pentedattilo, il piccolo borgo incastonato tra le montagne aspromontane della costa jonica della provincia di Reggio Calabria. Un piccolo paesino legato a leggende di fantasmi e storie di amori traditi dove il tempo sembra essersi fermato.
Pentedattilo prende il nome dalla forma della rocca su cui giace, simile a una gigante mano di pietra (penta e daktylos cioè cinque dita). Il suo fascino è raccontato direttamente dalle parole scritte dall’inglese Edward Lear che, nel 1847, viaggiò per la provincia reggina.
La visione – scriveva in Diario di un viaggio a piedi– è così magica che compensa di ogni fatica sopportata per raggiungerla: selvagge e aride guglie di pietra lanciate nell’aria, nettamente delineate in forma di una gigantesca mano contro il cielo (…) mentre l’oscurità e il terrore gravano su tutto l’abisso circostante.
Il borgo abbandonato dai suoi abitanti per effetto di fenomeni migratori oltre che per le continue minacce naturali, terremoti e alluvioni, è stato per tanto tempo conosciuto come il paese fantasma più suggestivo della costa calabrese.
Ma oggi, le casette in pietra autocostruite e adornate dai fichi d’india bruciati dal sole sono diventati alloggi di ospitalità diffusa, il tutto grazie a una rete messa insieme per salvare questo splendido gioiello dell’area grecanica, dal definitivo abbandono.
È così che grazie all’Associazione Pro Pentedattilo, all’Agenzia dei Borghi solidali con il sostegno di Fondazione con il Sud, alla Comunità europea e a centinaia di ragazzi che arrivano ogni anno attraverso i Campi della legalità Arci e Libera, il borgo è stato riportato in vita.
Photo credit Domenico Leonardo
Oggi vi abita stabilmente una sola persona ma, la vittoria è che molte delle casette sono state trasformate dando lavoro ad artigiani e artisti della provincia di Melito Porto Salvo. Ci sono per esempio la bottega del legno, della ceramica, del vetro, il Museo delle tradizioni popolari, tanto per citarne alcuni. Nei mesi estivi ci sono poi tanti eventi legati alla musica, al teatro, alla fotografia. Ciò a dimostrazione che Pentedattilo oltre a regalare una bellezza paesaggistica rara ha tanto da offrire come luogo di accoglienza culturale e sostenibile.
La leggenda di Pentedattilo ruota tutta intorno al castello, – oggi quasi completamente distrutto da terremoto, alluvioni ma anche, dalla mano dell’uomo (in tempi carestia gli abitanti utilizzarono alcune parti per autocostruirsi le case) – e alla strage degli Alberti. Protagonisti due nobili famiglie: gli Alberti appunto, marchesi del borgo e gli Abenavoli, baroni di Montebello Ionico, altro paesino vicino.
Si narra che la notte di Pasqua del 1686 le due famiglie furono protagoniste di una strage sanguinaria. Il barone Bernardino Abenavoli voleva prendere in moglie Antonietta Alberti. La donna però fu chiesta in sposa e concessa a Don Petrillo Cortes, figlio del viceré di Napoli. Questa notizia indusse l’ira passionale del barone che la notte di Pasqua entrò nel castello e si vendicò di tutti gli Alberti tranne dell’amata e del futuro sposo.
Bernardino prese in ostaggio entrambi e costrinse Antonietta a sposarlo. Ma il vicerè Cortez, inviò una sua spedizione per vendicarsi e dopo aver liberato Don Petrillo, fece uccidere gli uomini di Bernardino. Il barone riuscì a fuggire portando con sé Antonietta, a Vienna poi l’uomo entrò nell’esercito e la donna in convento di clausura.
La strage porta con sé altre leggende come quella che, nelle notti di vento, tra le gole della mano del Diavolo si possono udire le urla di dolore di Lorenzo Alberti. Tra tutte queste storie, sicuramente ce n’è una reale: quella che oggi Pentedattilo è un borgo vivo e che il presidente della Pro Pentedattilo Peppe Toscano, Francesca, Giorgio, Domi e la sua sconfinata colonia di gatti, Emilia Donato, Carmelo e Girolamo sono lì ad aspettare i turisti per regalare loro un po’ del loro sapere e un pezzettino di storia dell’area grecanica calabrese.
Dominella Trunfio
LEGGI anche:
Laturo: un borgo fantasma da recuperare in maniera sostenibile