Questa fiaba mi è stata inviata da Giusy, giovane lettrice di “C’era una volta…” e grande appassionata di fiabe. Giusy ci scrive da Salerno e ha voluto condividere con noi una fiaba che narra diboschi incantati, fate e creature fiabesche. Personaggi che continuano ad affascinare un pubblico sempre più vasto e non sempre al di sotto dei 10-12 anni.
Questa fiaba si intitola “La Fata Scura”.
Buona Fiaba a tutti…
LA FATA SCURA
Le Fate, si sa, sono esseri impalpabili e sensibili che vivono di preferenza nei boschi e ovunque vi sia vegetazione di cui prendersi cura, poiché una tra le loro funzioni è quella di seguire tutti i delicati processi di generazione e rigenerazione di piante, fiori e alberi. Le Fate amano molto condividere le loro danze e i loro giochi con altri Spiriti della Natura che abitano la Terra e gli altri Elementi, e in generale sono attratte da tutto ciò che è piacevole e leggero, compresi i pensieri, mentre rifuggono le atmosfere cupe e tristi che le appesantiscono togliendo loro luce e vitalità.
Queste Fate che presiedono alla vegetazione nascono generalmente nelle notti di Luna Piena: quando un raggio di Luna incontra una goccia di rugiada, si forma come una nuvoletta di vapore opalescente che si addensa fino a diventare una sorta di minuscolo batuffolo, un bozzolo soffice e luminoso fatto dei sogni più belli, dal quale con il primo raggio di Sole emerge una nuova Fata circondata dal suo alone luminoso.
Una notte nel Bosco, proprio mentre la Luna nutriva coi suoi raggi il candido bozzolo nel quale si stava formando una Fatina vegliata dagli altri Spiriti della Natura, passò una enorme nube nera che oscurò completamente l’astro e la sua luce. Non era una nube qualunque, fatta di pioggia, lampi e tempesta. Era una nube terribile che, passando sulle città degli uomini, si era saturata di rabbia, gas e frenesia, di rancore e rumori assordanti, di tutte le emozioni più dense e pesanti, di tutti i pensieri violenti. In due parole, puro veleno. Al passaggio della nube davanti alla Luna, immediatamente il bozzolo iniziò a sussultare e a contrarsi, e la sua luce cominciò ad affievolirsi. Invano Fate, Elfi, Gnomi e Folletti si prodigarono intorno all’embrione di Fata: una cosa simile non era mai accaduta, e nessuno sapeva cosa fare. Non restava che attendere l’alba.
L’alba venne, e col primo raggio di Sole l’involucro, ormai simile a un grumo di ragnatela rinsecchita, si ruppe. Tutti trattennero il fiato, e alla vista della creatura che faticosamente uscì dal bozzolo non riuscirono a trattenere un gemito di orrore: era un essere informe e inquietante, senza contorni definiti, una Fata scura, densa e stropicciata come non se n’erano mai viste prima, dal viso e dal corpo segnati da solchi ancor più scuri che la rendevano simile ad un frutto avvizzito.
Ammutoliti dallo stupore e dal timore, le creature del Bosco indietreggiarono svelte di un buon passo, allontanandosi dall’ultima nata. Questa percepì il freddo e la distanza, e divenne ancor più informe e rinsecchita.
“È proprio brutta, con quelle rughe!” mormorò una Fata Azzurrina, e sul volto della Fata Scura comparvero immediatamente altri solchi.
“È cosi scura e densa!” fece eco un’altra Fata, e Scura divenne ancor più scura e densa, e si accigliò.
“Sembra così goffa e contorta per essere una Fata…” disse uno Gnomo, e Scura si sentì rattrappire le gambe già malferme, e finì carponi a terra. Era appena venuta al mondo e non capiva cosa le stesse accadendo, ma di certo non era piacevole.
“E questo è niente! Guardate: senza luce com’è, le piante appassiranno al suo tocco!” gridò una Fata Verde, allarmando tutta la comunità del Bosco.
“E i semi non germoglieranno!” terminò un’altra.
Scura, disorientata, si guardava intorno mentre il suo sguardo si faceva sempre più torvo e, chissà perché, appannato.
“Una Fata con questo aspetto non può che essere malvagia o portare sfortuna…” sussurrò uno Gnomo, sottovoce sì, ma non abbastanza: Scura si voltò dalla sua parte proprio mentre una grossa ghianda si staccava dalla quercia sovrastante e colpiva lo Gnomo dritto sulla testa… A quel punto fu un parapiglia generale: mentre alcuni Gnomi soccorrevano l’incauto sfortunato, Fate e Folletti si abbandonavano ad animati commenti: “Allora è vero che porta sfortuna!” faceva uno. “E’ lei stessa una sfortuna per la nostra comunità!” diceva un altro, e così via.
Scura sentiva dolore dappertutto mentre il corpo si raggrinziva ancora, e un dolore al petto che si faceva sempre più acuto; il suo corpo si accartocciava e il suo sguardo diventava sempre più annebbiato, fino a che un liquido salato prese a scorrerle dagli occhi lungo il viso. Poi qualcosa in lei si ruppe, e con un urlo che raggelò i presenti fece un balzo e si trascinò barcollando nel folto del Bosco.
Mentre passava accanto ai ruscello, l’istinto le suggerì di specchiarvisi per vedere cosa spaventava tanto chi l’aveva accolta, ma le Ondine stesse, alla sua vista, indietreggiarono, così che l’acqua si ritirò. Era davvero troppo per la piccola Fata Scura che, con un grugnito insieme sdegnoso e rassegnato, sparì rifugiandosi in quell’angolo scuro del Bosco dove il Sole non batteva mai.
Un Elfo dal cuore sensibile aveva assistito pensieroso alla sequela di avvenimenti che avevano gettato il Bosco nel panico, panico che, come ben si sa, non si addice molto agli Spiriti fatati. Gli Elfi, creature che amano la compagnia delle Fate, sono fortunatamente molto rapidi nel captare l’essenza degli eventi e a formulare soluzioni. L’Elfo aveva notato che la piccola Fata Scura era peggiorata a vista d’occhio dopo la sua nascita, come se avesse dato corpo ai timori e alle previsioni dei suoi compagni sconcertati. E certamente era stato l’influsso di quella nube a causare quello strano fenomeno. L’Elfo si mise allora alla ricerca della Fata, certo di poter rimediare alla situazione, e la scovò raggomitolata nel freddo e buio angolo del Bosco dove crescevano solo i funghi velenosi.
L’Elfo non aveva paura di Scura perché aveva il cuore leggero come l’Aria e l’Aria non si può ferire quindi le sì avvicinò e cominciò a soffiarle intono piccoli vortici leggeri come lui, cercando di solleticarla per farla almeno sorridere. Ma Scura non ne voleva sapere, e con uno “sgrunt” sì girò dall’altra parte. Allora l’Elfo volò a raccogliere dal fiore più vicino una goccia di nettare dolcissimo e lo offrì alla Fata intrufolandosi tra le foglie marce che la celavano. Scura si irritò ancor di più e, per scacciare l’intruso, cercò di colpirlo, ritrovandosi tutta impiastricciata di nettare che, suo malgrado, così assaggiò. Tutta quella dolcezza sembrò placare il suo tormento, e finalmente Scura si addormentò.
Intanto l’Elfo aveva riunito l’assemblea, esponendo un piano che aveva convinto tutti gli Spiriti della Natura abitanti nel Bosco. Tutti quanti, dispiaciuti per essersi lasciati travolgere dalle loro paure e per aver abbandonato a se stesso un membro della comunità del Bosco in difficoltà, si misero all’opera cercando di aiutare quella piccola Fata Scura che forse essi stessi, inconsapevolmente, avevano contribuito a far diventare un mostro.
Fate, Gnomi, Elfi e Folletti lavorarono tutto il giorno per sfoltire la vegetazione che, nel luogo in cui Scura si era rifugiata, ostacolava il passaggio della luce. Verso il tramonto, trasportarono nei luogo in cui Scura giaceva una gran quantità di profumati petali di fiori dei più bei colori, e senza svegliare la piccola, li sostituirono alle foglie marce che la nascondevano alla vista. Poi la vegliarono tutta la notte e, mentre la luce della Luna che filtrava tra i rami e le foglie la accarezzava dolcemente, cantarono per lei.
“Sei una Fata bellissima…” intonava un Elfo;
“…luminosa e leggera…” proseguiva una Fata;
“…Sei sensibile e flessuosa…” cantava qualcuno,
“…gentile ed elegante…” concludeva qualcun altro, e così in coro, per tutta la notte, gli Spiriti fatati del Bosco tesserono gli elogi di quella piccola Fata, inviandole dal profondo del cuore parole e pensieri accoglienti, pieni d’amore e di tenerezza.
Giunse l’alba, e la Fatina si svegliò con uno strano solletico nel petto. Il dolore era un ricordo lontano, forse un brutto sogno. Qualcosa in lei era mutato, e nello stiracchiarsi del risveglio percepiva il corpo trasformato, leggero. Le Salamandre dei primi raggi di Sole la riscaldarono, mentre timida faceva capolino tra bellissimi colori che non aveva mai visto. Agli occhi della comunità del Bosco, che aveva vegliato tutta la notte, apparve una bellissima Fatina Lilla e Rosa, luminosa, titubante e stupita almeno quanto loro di un tale miracolo di trasformazione, operato dal potere dell’amore e della fiducia trasmessi da tutti quei cuori riuniti insieme