Esistono decine di comunità "verdi", in Israele, molto diverse tra loro ma che hanno in comune la volontà di allontanarsi dalla società dei consumi, la ricerca di nuove forme di economia sostenibile, l'avvicinamento alla natura.
Esistono decine di comunità “verdi”, in Israele, molto diverse tra loro ma che hanno in comune la volontà di allontanarsi dalla società dei consumi, la ricerca di nuove forme di economia sostenibile, l’avvicinamento alla natura.
Sono i Kibbutz, gruppi più o meno organizzati di persone che hanno deciso di vivere la propria vita dedicandosi ad attività alternative, rispettose dell’animo umano e dell’ambiente.
È un fenomeno in controtendenza: da anni infatti, soprattutto nel settore agricolo, in questo Paese si punta sull’alta tecnologia e sugli OGM per piegare l’agricoltura verso forme di produzione altrimenti irrealizzabili. Ma a questa visione tecnologica, ampiamente dominante, si stanno rapidamente contrapponendo comunità naturalistiche basate sul biologico.
Non sono hippie nostalgici degli anni ’60, ma piuttosto persone che hanno deciso di lavorare diversamente, sottraendosi alla corsa e allo stress che caratterizzano il mondo occidentale, ricercando un nuovo equilibrio fra individualismo e collettività.
Una delle tradizionali “Fair” più affollate si svolge a Hukok, sulle rive del lago di Tiberiade, in uno dei più antichi villaggi collettivi del Paese. In questa comunità vivono una quarantina di famiglie, con una scuola che educa 70 bambini seguendo i principi dell’ecologia ambientale, sociale e culturale. Hanno orti che coltivano in maniera collettiva e organizzano periodicamente un mercato in cui vendono i loro prodotti. Il pranzo è in comune e rigorosamente vegetariano, mentre la sera, a cena, ognuno mangia ciò che vuole.
Sono oltre 50 le comunità come quella di Hukok e continuano a nascerne di nuove. In un Paese in cui da anni si punta su tecnologia e OGM, questo movimento in forte espansione è davvero da prendere come esempio.