A scuola si possono studiare i testi delle canzoni come fossero poesie: il Nobel a Bob Dylan ci dà l'occasione di conoscere altri interessanti cantautori.
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Mr. Robert Zimmermann, in arte Bob Dylan, è fresco di premio Nobel. Pare che la notizia non abbia turbato più di tanto i suoi piani: continua a girare per gli Stati Uniti, tenendo fede ai suoi impegni musicali.È la prima volta che il Nobel per la letteratura viene assegnato ad un musicista e non ad un letterato di professione, e infatti è subito iniziata la ridda delle polemiche: qui da noi lo scrittore Alessandro Baricco si è domandato piccato cosa c’entri Dylan con la letteratura.
La giuria del Nobel ha motivato così l’assegnazione del premio: “ha creato una nuova poetica espressiva all’interno della grande tradizione canora americana“.
Nei miei esperimenti di scuola felice, spesso i cantautori sono entrati nelle mie lezioni. Molti testi musicali sono delle vere e proprie poesie, che raccontano della realtà interiore dell’autore o del suo mondo: non posso non leggerli a scuola! Inoltre, gli studenti sono sempre molto interessati quando si parla di musica e capiscono meglio che fin dall’antichità, poesia e musica hanno costituito un binomio inscindibile. I poemi omerici, la lirica greca da Saffo ad Alcmane, i cori delle tragedie greche, l'”Eneide” di Virgilio, la lirica cortese del XII e XIII secolo, i madrigalisti rinascimentali, fino ad arrivare al melodramma e all’opera lirica: tutte espressioni di questo magnifico connubio.
Quali cantautori del nostro tempo non possono dunque mancare nelle lezioni sulla poesia?
JIM MORRISON
“Se la mia poesia cerca di arrivare a qualcosa, è liberare la gente dai modi limitati in cui vede e sente“: così James Douglas Morrison, in arte Jim, nato a Melbourne l’8 dicembre del 1943 e morto a Parigi (dove tuttora troviamo la sua tomba, nel cimitero monumentale di Père Lachaise) il 3 luglio del 1971, a soli 27 anni, intendeva la sua arte. Figlio della rivoluzione culturale degli anni ’60, lui stesso dunque definiva “poesia” i testi delle sue canzoni, che dovevano avere il compito di suggerire alla gente delle possibilità, delle porte da cui passare per poter leggere, ognuno a suo modo, la realtà circostante.
La musica, secondo Morrison, è il veicolo attraverso cui liberarsi dai freni inibitori (forse non a caso era soprannominato “il re Lucertola“: le sue movenze sul palco ricordano quelle di un Dioniso invasato) per riuscire così a far emergere tutto quanto sia nascosto nell’inconscio. Le sue poesie sono canti di libertà, di impegno civile (spesso, durante i concerti, incitava la folla con un potente WAKE UP!, “Sveglia!”), canti estatici scritti da un uomo “affranto dalle miserie della vita”, come disse Fernanda Pivano.
A scuola si potrebbe ascoltare “Break on through (to the other side)“, una canzone del 1967, contenuta nell’album “The Doors“. Un testo facile anche da tradurre dall’inglese (nella scuola felice non si lavora a compartimenti stagni!), che invita a “passare dall’altra parte”, a “farsi strada”, a non conformarsi alle convenzioni sociali e agli stereotipi.
SAM COOKE
In un percorso di storia, che parta dalla scoperta dell’America con tutti gli stermini che ha provocato (dai Maya agli Pellerossa), passando per la tratta degli schiavi fino ad arrivare al movimento per i diritti civili degli afroamericani, si può parlare di questo cantautore.
Nato nel 1931 e morto nel 1964 a soli 33 anni, ucciso in circostanze non ancora chiare dalla proprietaria di un motel di cui era ospite, Cooke iniziò la sua carriera come cantante gospel, per passare poi all’R&B. La sua canzone più famosa, A change is gonna come, gli venne ispirata proprio da una canzone di Bob Dylan, Blowin’ in the wind, di cui sembrerebbe essere la risposta. Dylan, infatti, nella sua canzone si domanda “How many years can some people exist, before they’re allowed to be free?” (Quanti anni devono vivere alcune persone, prima di riuscire ad essere libere?). Cooke gli risponde “Fewer than you think” (Meno di quanto pensi).
A change is gonna come divenne in breve tempo l’inno della comunità nera nella lotta per i diritti civili, tanto che viene ritenuta la dodicesima canzone più importante della storia della musica secondo la rivista Rolling Stone ed è stata citata da Barack Obama nel discorso da lui tenuto nel 2008, dopo essere stato eletto presidente degli Stati Uniti (il primo afromericano della storia a ricoprire questa carica).
AMY WINEHOUSE
La giovane cantautrice londinese, morta a soli 27 anni, così come altri musicisti “maledetti” (Jim Morrison, Brian Jones, Janis Joplin, Jimi Hendrix, Kurt Cobain, tanto che alcuni giornalisti coniarono l’espressione “Club 27” proprio per indicare il gruppo di questi giovani cantanti deceduti troppo presto), aveva un grandissimo talento nello scrivere canzoni che raccontassero del suo tormento interiore.
In un’intervista, visibile nel film Amy, dichiarò esplicitamente che ogni sua canzone parlava di una sua esperienza realmente vissuta, in quanto non sarebbe assolutamente riuscita a scrivere di cose che non aveva vissuto personalmente.
La scuola è diventata negli anni un punto di riferimento decisivo per insegnare ai ragazzi a non usare né abusare di alcol, tabacco e droghe. Ormai nelle ore passate in classe non si bada solo a trasmettere nozioni, ma sempre più spesso è necessario rafforzare le cosiddette “life skills“, ossia quelle competenze emozionali utili ad affrontare tutte le situazioni della vita. Se Amy avesse posseduto queste “life skills”, se avesse avuto cioè una buona autostima e una forza interiore tale da rifiutare l’assunzione di quelle sostanze che l’hanno poi portata alla morte, oggi potremmo ancora godere della sua splendida voce.
Raccontare la sua storia, attraverso le sue canzoni, può essere l’occasione giusta per dare agli studenti l’opportunità di riflettere su queste tematiche così profonde. A trascinare Amy nel vortice delle droghe e dell’alcol, una grande responsabilità l’ha avuta l’uomo che ha amato e che è stato suo marito, Blake Fielder-Civil. Amy si rendeva perfettamente conto di quanto questa persona fosse deleteria nella sua vita…eppure, non riusciva a distaccarsene. Lo racconta in “Tears dry on their own“.
In Italia abbiamo una grande tradizione cantautorale, che inizia ai primi del Novecento fino ad arrivare ai giorni nostri. Ogni autore ha dato un contributo speciale al panorama musicale italiano e ha toccato tematiche interessanti, che si possono sviluppare a scuola. Ne cito giusto due, lasciando a voi insegnanti che mi leggete il compito di trovare altri percorsi con cantautori diversi.
RINO GAETANO
Il cantautore calabrese, morto nel giugno 1981 a soli 30 anni (anche lui morto giovane come gli altri musicisti citati sopra), è stato apprezzato forse più dopo la sua morte. I suoi testi ricchi di nonsense probabilmente erano troppo all’avanguardia per la sua epoca (del resto anche Lucio Battisti fu spesso tempestato di polemiche). A scuola è interessante ascoltare “Mio fratello è figlio unico“, partendo dalla visione dell’omonimo film di Daniele Luchetti, con Elio Germano e Riccardo Scamarcio, che racconta la storia di due fratelli dalle idee politiche totalmente opposte. Secondo Gaetano, ognuno di noi è un “fratello figlio unico”, in quanto i rapporti interumani sono quasi sempre dettati dall’obbligo e non dal piacere di incontrarsi e stare insieme. Molto spesso nelle famiglie c’è l’incapacità di comunicare, di accettare la diversità dell’altro, e ciò si traduce in un’intera società di esclusi, di emarginati…di figli unici, appunto.
LUCIANO LIGABUE
Far studiare Ligabue a scuola potrebbe sembrare una scelta fin troppo scontata: il successo tra gli studenti è certamente assicurato. Ma al di là dei facili entusiasmi, il Liga si presta perché nei suoi testi utilizza spesso figure retoriche. Perciò all’interno di una lezione su questo argomento (ne ho già parlato qui sul mio blog di scuola), ci buttiamo in mezzo l’ascolto di canzoni come “Il muro del suono” o “Siamo chi siamo“, guardando su YouTube un video in cui scorrano anche le parole…e le figure retoriche non sono più qualcosa di così oscuro!