In tanti ne parlano, ma in pochi sanno di che si tratta. Vediamo qui i 4 filoni su cui si basa il discorso della famigerata decrescita felice.
Da qualche tempo tutti ne parlano, ma in pochi sanno cosa sia: la decrescita felice. Molti, si vede, criticano più l’idea che se ne sono fatti, o il nome, che quello che propone. In effetti è un termine strano, generalmente associato a qualcosa di negativo, tanto da fare quasi paura, a conferma del fatto che, per dirla con Serge Latouche, il nostro immaginario è talmente colonizzato da vedere sotto una luce negativa tutto ciò che non riconduce direttamente a crescita, velocità, accumulazione ecc. Vediamo di spiegare in breve di cosa si tratta.
“Decrescita” critica il fatto che, come tutti abbiamo sentito almeno una volta nella vita, dovremmo entrare tutti in paranoia quando il nostro Paese non è riuscito nell’ultimo semestre a far crescere la sua economia e, di conseguenza, il suo Prodotto Interno Lordo (PIL). Il termine “decrescita” nasce quindi in ambito economico, nel senso che contesta il concetto di crescita economica illimitata, impossibile su un pianeta limitato, ma passa quasi subito in ambito più filosofico, cioè di approccio con la vita: punta all’evitare gli sprechi, in ogni campo, e quindi ad un maggiore rispetto di chi e di ciò che ci circonda. Non punta invece a tornare al carro, alle candele o ad altre balle di questo tipo.
Un altro aspetto importante preso in considerazione nel discorso della Decrescita è il fatto di iniziare a non considerare più il PIL stesso come metro di misura del nostro benessere. Misurando solo il valore complessivo di beni e servizi prodotti all’interno di un Paese in un certo intervallo di tempo, esso è infatti un parametro e come tale dovrebbe essere trattato. Non significa volere necessariamente che questo cali, ma tenere in considerazione che esso ci dice alcune cose, senza però dircene altre. Cresce quando girano soldi e merci, quando c’è una transazione economica, ma non quando si è in presenza, ad esempio, di un’azione di volontariato, di un dono fatto senza ricevere un pagamento in denaro, o di un gesto d’amore.
In altre parole, se dedico del tempo alla nonna che se ne sta sola a casa, se regalo un vecchio libro ad un amico, se vengo supportato/a moralmente da qualcuno dovrei essere triste, perché l’economia del mio Paese in quel momento non sta crescendo, dato che di soldi non ne sto spendendo e di “consumi” non ne sto rilanciando. Se invece sono depresso e acquisto bottiglie di whiskey o confezioni di psico-farmaci, se installo un allarme perché non mi sento sicuro in casa mia, se me ne sto incolonnato per ore nel traffico consumando più carburante e respirando più gas di scarico per muovermi di pochi metri, invece, dovrei gioire, perché sto facendo “crescere” il mio Paese.
Il nuovo approccio culturale della decrescita felice è quindi basato sulla qualità, non più sulla quantità, e vuole agire sul contesto sociale operando in particolare attorno a quattro filoni:
- Stili di vita
- Tecnologie
- Politica
- Cultura
Metaforicamente parlando, le prime tre aree rappresentano uno sgabello, costituito da tre robuste gambe – stili di vita, tecnologie e politica – che tengono in piedi il ripiano della cultura. Senza una rivoluzione culturale, infatti, che scardini il del nostro immaginario collettivo dai valori della crescita, le tre gambe non sarebbero che semplici pezzi di legna. Parallelamente se mancasse una di queste gambe, lo sgabello non starebbe in piedi.
Su questo blog, da oggi in poi, tratteremo di volta in volta questi 4 “pilastri”, anche attraverso esempi concreti. Perché la decrescita è un fenomeno in divenire, un quadro – come dice Maurizio Pallante – di cui finora sono state fatte solo poche pennellate, ma che è ancora tutto da dipingere. Insieme.
Per maggiori info sulla decrescita felice, visita www.decrescitafelice.it