Così l’olio calabrese piacerà al consumatore

Più qualità, meno impatto sull'ambiente

Una rivoluzione ecosostenibile che questa volta vede protagonista l’olio calabrese. Dopo tre anni di sperimentazioni, ricerche e prove sul campo, anche nella punta dello stivale arrivano importanti novità per la filiera olivicola sul piano della green economy. In primis, una mappa delle eccellenze grazie a kit diagnostici rapidi e impianti di biogas di piccole dimensioni per ridurre l’impatto ambientale degli scarti di lavorazione.

Un’ analisi partita proprio da una criticità, l’olio calabrese trova difficoltà di collocazione sul mercato perché non piace al consumatore. “Ci siamo posti l’obiettivo di promuovere la qualità, di innovare e superare la frontiera tecnologica per essere sempre più competitivi”, ha detto Domenico Cambareri del Conasco. In che modo? Individuando le caratteristiche migliori delle varietà calabresi, mappandole associando a ogni tipo un opportuno ecosistema olivicolo, creando dei blend, dei prodotti riconoscibili e graditi, da portare poi sullo scaffale mantenendone inalterate le caratteristiche qualitative.

E la strada intrapresa sembra essere quella giusta. Ne è convito Jean Louis Barjol, direttore esecutivo del Consiglio Oleicolo Internazionale (Madrid), l’associazione transnazionale nata sotto l’egida dell’ONU i cui membri rappresentano il 98% della produzione mondiale. “L’olio calabrese, ma più in generale l’olio italiano – ha dichiarato Barjol – è pronto alla sfida del mercato estero. La qualità del prodotto, il confezionamento e le strategie commerciali intraprese negli ultimi anni consentiranno un passo in avanti decisivo”.

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Non solo, grande attenzione è stata riposta sull’impatto ambientale delle produzioni. “Li indichiamo come sottoprodotti e non più come scarti – afferma il coordinatore scientifico del progetto Marco Poiana, docente di Tecnologie Alimentari della Mediterranea di Reggio Calabria – e già a livello lessicale la differenza è sostanziale. Grazie alle tecnologie integrate sperimentate nel corso delle attività, è possibile recuperare frazioni importanti impiegabili nell’industria alimentare o farmaceutica. Si usano le acque reflue per produrre un valore, ottenendo biogas e azzerando l’impatto ambientale degli scarti di lavorazione”.

Ma per garantire la salute dei consumatori e assicurare uno standard qualitativo, è necessario monitorare costantemente la produzione olivicola, per questo è stato sperimentato un kit diagnostico rapido, creato da Isolab Reggio Calabria. Un’innovazione fondamentale a cui va associata l’introduzione di un innovativo digestore aerobico di piccole dimensioni, in grado di ottenere biogas dalle acque di lavorazione, sperimentato dal CRA-OLI di Rende.

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“Fino a qualche anno fa si discuteva dell’opportunità di espiantare le coltivazioni autoctone a beneficio delle varietà spagnole piuttosto che toscane. Oggi invece – spiega Antonio Cimato, tutor di progetto nominato dal MIUR – siamo in grado di individuare tipi di olio calabresi dall’alta concentrazione di polifenoli, dunque apprezzabili a tavola oltre che consigliabili per la salute dei consumatori”.

Il Progetto OLIO-Più è stato finanziato dal Ministero dell’Istruzione e portato avanti da un network pubblico-privato composto dal Conasco, dal CNR-Istituto per la Tecnologia delle membrane, dal Dipartimento di Agraria dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria, dal CRA-Oli di Rende, da Isolab Reggio Calabria, Centro Analisi Biochimiche (Rizziconi, RC), Olearia San Giorgio (San Giorgio Morgeto RC), con la collaborazione di Tecnoalimenti e dal Dipartimento Scienze e tecnologie agroalimentari dell’Università di Bologna.

Foto: Travel Calabria, Calabriaportal

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