Vitamina D: cosa fare quando c’è una carenza

Un recente studio pubblicato su Endocrine Reviews ha portato nuove conoscenze sulla vitamina D, aprendo anche la strada per ulteriori approfondimenti.

Il termine “vitamina” porta spesso a sottovalutare l’importanza della vitamina D, che, invece, è considerata ormai un ormone pleiotropico, con effetti benefici su numerosi aspetti della salute, apparentemente non collegati tra loro. È interessante notare che la vitamina D entra in ogni cellula del nostro corpo, poiché tutte possiedono un recettore specifico per essa.

Si parla di carenza di vitamina D quando i livelli nel sangue sono inferiori a 30 nanogrammi. Tuttavia, questo valore non è considerato ottimale, soprattutto in ottica di prevenzione, tanto che molti paesi stanno aumentando i livelli minimi consigliati.

Inoltre, in alcune condizioni patologiche, negli sportivi e negli obesi, è spesso consigliato mantenere livelli superiori. Attualmente, si stima che circa il 40% della popolazione abbia una carenza di vitamina D, con alcune ricerche che indicano percentuali ancora più elevate.

Lo studio intitolato Consensus Statement on Vitamin D Status Assessment and Supplementation: Whys, Whens and Hows tratta diversi aspetti, tra cui il metabolismo della vitamina D, la valutazione dei livelli, le azioni da intraprendere e l’integrazione. 

Lo studio

Questo studio rappresenta un contributo significativo per comprendere meglio questa molecola fondamentale. È noto che circa il 90% della vitamina D nel corpo è prodotta dalla pelle in risposta all’esposizione solare, ma con l’invecchiamento, la produzione tende a diminuire.

La concentrazione di 25-idrossivitamina D (25(OH)D) nel sangue continua a essere il principale indicatore per valutare i livelli di vitamina D nell’organismo. Tuttavia, la mancanza di standardizzazione nei test rende difficile confrontare i dati e condurre analisi più ampie, evidenziando la necessità di nuove metodologie affidabili.

I livelli ottimali di vitamina D sono ancora oggetto di dibattito, per cui si continua a fare riferimento alle indicazioni riportate nei referti. Secondo gli studi più recenti, l’assunzione quotidiana di vitamina D è la più efficace, tuttavia, per migliorare la terapia sono state proposte anche somministrazioni mensili.

Carenza di vitamina D ed effetti collaterali

La carenza di vitamina D compromette l’assorbimento del calcio, portando a iperparatiroidismo, perdita ossea e un aumento del rischio di fratture, soprattutto negli anziani. La supplementazione di vitamina D e calcio riduce notevolmente questo rischio.

Esiste anche una correlazione positiva tra vitamina D, sistema immunitario e diabete di tipo 2, e si ipotizza un impatto favorevole su eventi cardiovascolari e mortalità.

Sebbene alcuni studi iniziali non avessero riscontrato legami significativi tra i livelli di vitamina D e alcune malattie, probabilmente a causa di limiti metodologici, ricerche successive hanno suggerito benefici nella riduzione del rischio di cancro, malattie autoimmuni, eventi cardiovascolari e diabete.

Cause della carenza 

La produzione di vitamina D diminuisce con l’età, ma la scarsa esposizione al sole è una delle cause principali. Lo stile di vita moderno, che ci porta a trascorrere molto tempo in ambienti chiusi, contribuisce a questa carenza, e anche i bambini che trascorrono poco tempo all’aperto possono avere livelli di vitamina D troppo bassi.

Inoltre, l’uso diffuso di creme solari, sebbene importante per proteggersi dai raggi UV, riduce significativamente l’assorbimento di vitamina D. Ma non è tutto, poiché anche un sistema linfatico compromesso può influire negativamente sull’utilizzo della vitamina D, poiché essa si accumula negli adipociti e necessita del sistema linfatico per essere mobilizzata e utilizzata.

Fonte: Endocrine Reviews

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