I ricercatori hanno testato con successo una pelle sintetica che riesce ad assemblarsi in autonomia proprio come avviene per la pelle umana
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La pelle umana è talmente complessa da rendere quasi impossibile per l’ingegneria riprodurla ed è l’elemento che ancora manca ai robot per diventare “umanoidi”. È infatti in grado di rilevare la temperatura, la pressione e la consistenza. Inoltre ha una caratteristica unica: la sua capacità di autoripararsi dopo aver subìto ferite.
Ora però un gruppo di ricercatori della Stanford University che lavora alla Stanford Wearable Electronics Initiative, sotto la guida del professor Zhenan Bao, ha pubblicato un nuovo studio nel quale ha presentato un nuovo metodo per ottenere il riallineamento autonomo e l’autoguarigione in dispositivi elettronici morbidi multistrato e robot combinando due polimeri dinamici.
Riprodurre una versione elettronica della pelle sarebbe una sfida vinta
Vediamo come funziona. I pezzi si avvicinano l’uno all’altro magneticamente per poi ricomporsi. Ciò apre la strada ad un futuro altamente innovativo che potrebbe permettere di inghiottire i robot a pezzi che si andrebbero ad autoassemblarsi all’interno del corpo per eseguire trattamenti medici non invasivi.
Allo stesso tempo potrebbero venire create pelle elettroniche multisensoriali e autorigeneranti che si adattano ai robot e vanno a fornire loro il senso del tatto. Riprodurre una versione elettronica della pelle sarebbe una sfida vinta, una delle più impegnative che da 40 anni sta affrontando la bionica, la scienza che studia le funzioni sensorie e motorie degli organismi viventi per riprodurle o potenziarle con dispositivi elettronici o di altro tipo.
Chris Cooper, ricercatore alla Stanford University che, insieme Sam Root assegnista di ricerca, è coautore dello studio, ha spiegato:
Abbiamo ottenuto quella che riteniamo essere la prima dimostrazione di un sensore a film sottile multistrato che si riallinea automaticamente durante la guarigione. Si tratta di un passaggio fondamentale per imitare la pelle umana, che ha più strati che si riassemblano tutti correttamente durante il processo di guarigione.
L’importanza della stratificazione
Per far sì che tutto ciò sopradescritto sia possibile, ovvero per “imitare” le molte qualità della pelle, è fondamentale la stratificazione. Il motivo lo ha illustrato lo stesso Root:
Ogni strato è morbido e elastico. Ma se lo fori, lo affetti o lo tagli, ogni strato autoguarirà selettivamente per ripristinare la funzione complessiva. Proprio come la vera pelle.
Anche la pelle è formata da strati e possiede meccanismi immunitari che ricostruiscono il tessuto con la struttura a strati originale attraverso un processo complesso, che va a coinvolgere il riconoscimento e la trasmissione di segnali tra molecole.
Il team del professor Bao potrebbe riuscire a creare una pelle sintetica a più livelli con strati funzionali individualmente sottili da un micron ciascuno o forse meno. Uno strato potrebbe percepire la pressione, un altro la temperatura e un altro ancora la tensione. In tal modo il materiale di diversi strati può essere progettato per rilevare cambiamenti termici, meccanici o elettrici.
A 70° il glicole polipropilenico e il polidimetilsilossano guariscono in circa 24 ore
La chiave è progettare strutture molecolari polimeriche e scegliere la giusta combinazione per ogni strato: il primo strato di un polimero, il secondo di un altro e così via. I ricercatori hanno utilizzato glicole polipropilenico e polidimetilsilossano (silicone).
Entrambi hanno proprietà elettriche e meccaniche simili alla gomma e biocompatibilità e possono essere miscelati con nano o microparticelle per consentire la conduttività elettrica. Inoltre quando sono riscaldati si ammorbidiscono e scorrono, ma si solidificano quando raffreddano.
Ed ecco che, riscaldando la “pelle sintetica”, i ricercatori sono stati in grado di accelerare il processo di guarigione. A temperatura ambiente questo può richiedere fino ad una settimana ma, se riscaldata a 70°C, l’autoallineamento e la guarigione avvengono in circa 24 ore.
Se poi si aggiungono materiali magnetici ai loro strati polimerici si permette alla pelle sintetica non solo di guarire, ma anche di autoassemblarsi da pezzi separati. Torniamo quindi allo scenario prospettato prima, ovvero costruire robot morbidi riconfigurabili che cambino forma.
L’obiettivo finale sarebbe quello di creare dispositivi che riescano a riprendersi da danni estremi. Ad esempio se fatti a pezzi, che siano in grado di ricostruirsi automaticamente.
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Fonte: Science
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