Cosa ne facciamo di uno smartphone che non usiamo più? Un gruppo di ricercatori americani ha sviluppato circuiti in grado di dissolversi anche a comando, limitando l'inquinamento e consentendo il riciclo dei materiali
Rifiuti elettronici: che fine fanno gli smartphone e i tablet che non usiamo più? Magari potessero “autodistruggersi” evitando così la pericolosa spirale di inquinamento (e dei traffici illegali) che, con la fine del loro utilizzo, viene inevitabilmente a crearsi.
È questo il pensiero che è balenato nella testa di alcuni ricercatori dell’Università dell’Illinois, che hanno messo a punto dei dispositivi in grado proprio di “autodistruggersi“, anche a comando e a distanza, attraverso, per esempio, dei segnali radio e del calore come stimolo. Così facendo, i materiali sarebbero molto più facilmente riciclabili e si segnerebbe un passo in più verso la riduzione dei rifiuti elettroni e l’aumento della sostenibilità nei processi di produzione.
Secondo il rapporto “Waste Crimes, Waste Risks: Gaps and Challenges In the Waste Sector” dell’Unep, ogni anno fino al 90% dei 41 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici prodotti al mondo sono gettati in discariche non a norma oppure commerciati illegalmente. E le stime non lasciano speranze, se si considera che l’e-waste arriverà a 50 milioni di tonnellate già entro il 2017.
Quello che hanno utilizzato i ricercatori americani è un segnale a radiofrequenza che accende un elemento che si scalda nel cuore del dispositivo. Ed è a quel punto che i circuiti si dissolvono completamente. Ma come funziona in pratica? Semplicemente con un innesco radiocomandato in grado di attivare a distanza l’autodistruzione su richiesta nel giro di una ventina di secondi.
“Abbiamo dimostrato che l’elettronica c’è quando ne abbiamo bisogno e sparisce quando non ci serve più“, spiega il professore di ingegneria aerospaziale Scott R. White. “Questo è un modo per creare la sostenibilità nei materiali che vengono utilizzati dall’elettronica moderna. È stato il nostro primo tentativo di utilizzare uno stimolo ambientale per innescare la distruzione“.
Insomma, è una ricerca questa che potrebbe rappresentare un importante passo verso la riduzione dell’inquinamento elettronico e una produzione più sostenibile. Intanto, il gruppo di White ha collaborato con un altro team impegnato sul fronte dei dispositivi che si dissolvono in acqua utilizzati negli impianti biomedici.
Lo scopo è solo uno: trovare un modo per disintegrare i dispositivi in maniera tale che i produttori possano riciclare i materiali recuperandoli da quelli usati o obsoleti. Anche perché come sappiamo le discariche attualmente sono le migliori miniere di oro e metalli preziosi.
Germana Carillo
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