Benvenuti nel Luddite Club, dove smartphone e social network sono banditi

Prima regola del "Luddite Club": dire addio a social, chat e smartphone per sostituirli con una socialità più autentica e genuina

Il Luddite Club è un manipolo di giovanissimi ribelli newyorkesi che hanno rinunciato a qualcosa che, per la maggior parte dei giovani (e non solo), appare vitale: la connessione a Internet.

Questi ragazzi hanno deciso di abbandonare i social network, le chat piene di emoji colorate, i “salotti” virtuali in cui ognuno sembra saperne più degli altri. Lo scopo? Riscoprire un contatto più autentico e genuino con la realtà – quella vera, e non quella che si vede attraverso lo schermo di un cellulare.

La nascita del Luddite Club

Il movimento ha preso piede durante la pandemia da Covid-19, grazie all’idea della diciassettenne Logan Lane, studentessa di un liceo di Brooklyn.

Nel momento più buio dei rapporti sociali, in cui tutti erano confinati a casa per limitare al minimo il rischio di contagio, gli schermi di smartphone e tablet rappresentavano l’unico contatto con il mondo esterno.

Ma purtroppo, per molti adolescenti che si sono improvvisamente visti privati della propria socialità, la tecnologia da risorsa si è trasformata in una vera e propria trappola.

Ore e ore passate a “scrollare” le bacheche dei social network, a guardare imbambolati centinaia di video di TikTok, a fare videochiamate fino a notte fonda. In pochi mesi, Logan si è accorta che la sua stava diventando una dipendenza malsana dal mondo virtuale.

E ha deciso di dire basta. Basta perdere ore e ore della sua preziosa adolescenza davanti a uno schermo. Basta lasciarsi risucchiare da emozioni negative, dovute al costante confronto con le vite perfette e patinate degli altri. Basta vivere una socialità finta, non autentica, fatta solo di stickers e di like.

Strano ma vero, Logan non è stata la sola a scegliere di fare questa coraggiosa inversione di tendenza. Insieme ad altri coetanei che frequentano la sua stessa scuola, ha dato vita al Luddite Club, un gruppo unito dal rifiuto della tecnologia e della sua ingerenza sempre più tossica nella quotidianità.

La scelta del nome non è casuale: Ned Ludd (da cui il termine Luddite) era un operaio inglese che, nel 18° secolo, fondò un movimento di protesta contro l’industrializzazione, vista come principale causa di disoccupazione e salari ridotti.

Una vita senza tecnologia è possibile

I primi giorni, i ragazzi hanno dovuto fronteggiare un’emozione nuova, alla quale tutti siamo un po’ disabituati ormai: la noia. Abbiamo paura della noia, la evitiamo il più possibile con continue piccole iniezioni di dopamina, che tengono alto il nostro umore e che, quando non ci sono, ci rendono disperati.

Siamo costantemente “intrattenuti” da social, video, podcast, messaggi e altri tipi di contenuti da non riuscire più a vivere un momento di noia, in cui il nostro cervello non sia bombardato da informazioni e contenuti volti a far divertire.

Dopo un iniziale spaesamento, i giovani membri del Luddite Club hanno imparato a riempire la noia con attività creative – dal journaling alla lettura dal disegno artistico al cucito, dalla musica alle attività sportive all’aria aperta.

Si è spalancato un mondo, una galassia di attività da fare (da soli o insieme ai coetanei) che fanno stare davvero bene, che rinfrancano il corpo e gratificano lo spirito – molto più della dopamina generata dalla fruizione di contenuti social.

L’esperienza di questi ragazzi, che si sta diffondendo a macchia d’olio in tutto il mondo e fra le diverse generazioni, ci insegna che è possibile vivere senza la schiavitù dello smartphone. Anzi, probabilmente, è ciò che ci salverà dalla deriva pericolosa in cui sta scivolando la nostra società.

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Fonte: New York Times

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