Le associazioni pro carbone sparano la sentenza: il carbone tiene acceso il tuo iPhone.
Un comunissimo iPhone, utilizzato “nella media”, in un anno consuma più del frigo di casa. E per tenere accesi gli smartphone degli americani si utilizza sempre più energia, proveniente in gran parte dal carbone. Ne consegue che abbiamo un problema.
Partiamo dai consumi dell’iPhone. Secondo un report di Digital Power Group, sponsorizzato da due lobby americane pro carbone, da quando nel 2007 è stato distribuito il primo modello del melafonino il traffico dati generato dal mobile è letteralmente schizzato in alto. Nei soli Stati Uniti, ad esempio, nel periodo 2007-10 la quantità di dati scambiati col telefonino è cresciuta del 400%.
Poi è arrivata l’era del cloud, che ha compiuto la rivoluzione spingendo gli utenti di iPhone e smartphone a tenere la connessione sempre accesa. Questo ha modificato profondamente i consumi elettrici perché per gestire l’enorme quantità di dati in ingresso e in uscita dai server e dai cellulari serve un’altrettanto enorme quantità di energia elettrica.
A differenza del frigorifero, che si accende e si spegne in automatico solo quando realmente serve, gli smartphone trasmettono e consumano in continuazione. Per tenere in piedi questo sistema si deve produrre in maniera continua e affidabile sempre più energia, di giorno come di notte visto che il fenomeno è globale e l’interscambio di dati può avere infiniti percorsi.
Ecco, allora, che le associazioni pro carbone sparano la sentenza: il carbone tiene acceso il tuo iPhone. Sentenza che, ad essere onesti, almeno in USA è in parte vera visto che gli Stati Uniti producono una buona percentuale (40% circa) dell’energia elettrica che consumano proprio dalla peggiore delle fonti fossili, quella più inquinante e con le maggiori emissioni di CO2. Un problema già messo in luce, più volte, da Greenpeace.
Per fortuna, però, non tutto il mondo è uguale e in Europa la produzione di energia elettrica dal carbone è più bassa (33% in media) mentre in Italia è bassissima (intorno al 10-12%). Sempre per fortuna ai nostri smartphone non importa molto quale fonte abbia prodotto l’energia che consumano, il che vuol dire che il cloud può essere alimentato senza grandi problemi anche con le energie rinnovabili.
E, infatti, da qualche anno le grandi aziende del web si sono buttate nella corsa al data center rinnovabile. Yahoo è stata tra le prime, ma anche Google e Apple hanno speso parecchio per ripulire i propri consumi. Resta però una domanda alla quale ancora nessuno ha avuto il coraggio di rispondere seriamente: se negli ultimi anni abbiamo imparato a guidare auto che consumano meno, a spegnere le luci quando non servono, a non aprire e chiudere il frigo inutilmente e a stare attenti ai terribili led di stand by, quando inizieremo a pensare a quanto consumano, e inquinano, i nostri gadget elettronici?
Peppe Croce