La vita potrebbe essere stata scoperta su Marte quasi 50 anni fa, ma potrebbe essere stata distrutta involontariamente. L’ipotesi è stata avanzata da Dirk Schulze-Makuch, professore presso la Technical University di Berlino, sulla base di alcune incongruenze rilevate nel corso delle missioni Viking 1 e 2 della Nasa a metà degli anni ’70
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Alla ricerca della vita su Marte, potremmo esserci riusciti davvero quasi 50 anni fa, per poi distruggere tutto involontariamente. L’ipotesi è stata avanzata da Dirk Schulze-Makuch, professore presso la Technical University di Berlino, sulla base di alcune incongruenze rilevate nel corso delle missioni Viking 1 e 2 della Nasa a metà degli anni ’70.
La scoperta di composti organici su Marte
I lander di Viking 1 e 2, infatti, avevano identificato piccole quantità di sostanze organiche clorurate, inizialmente ritenute contaminanti dalla Terra. Tuttavia, missioni successive (lander Phoenix del 2008 e rover Curiosity e Perseverance poi), hanno verificato la presenza di composti organici nativi su Marte, anche se in forma clorurata.
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La vita su Marte potrebbe quindi essersi adattata all’ambiente arido all’interno di rocce salate e assorbendo acqua direttamente dall’atmosfera.
L’aggiunta di acqua, potenzialmente fatale
Ma alcuni esperimenti delle missioni stesso prevedevano l’aggiunta di acqua ai campioni di suolo, che potrebbero aver sopraffatto questi potenziali microrganismi, portandoli alla loro scomparsa.
Al momento di quegli sbarchi (Viking, N.d.R.), gli scienziati avevano ben poca conoscenza dell’ambiente marziano scrive Schulze-Makuch su Big Think – Poiché la Terra è un pianeta acquatico, sembrava ragionevole che l’aggiunta di acqua potesse indurre la vita a mostrarsi nell’ambiente marziano estremamente secco. Col senno di poi, è possibile che l’approccio sia stato troppo ottimista. Quello che io e altri ricercatori abbiamo imparato in luoghi estremamente aridi sulla Terra, come il deserto cileno di Atacama, è che c’è una graduale progressione delle forme di vita man mano che l’habitat diventa più arido
In altre parole, quell’aggiunta “improvvisa” di acqua potrebbe aver distrutto la vita sul Pianeta Rosso, che si era nel frattempo adattata faticosamente al clima arido.
Cosa accade sulla Terra
Infatti, come accade in ambienti aridi sulla Terra, i microorganismi che vivono interamente all’interno delle rocce salate sfruttano una proprietà di alcuni Sali chiamata igroscopicità, mediante il quale questi composti chimici assorbono acqua direttamente dall’umidità relativa dell’aria (è proprio quello che avviene quando lasciamo il sale esposto all’aria, che poi per questo ritroviamo pieno di grumi).
Proprio per questo i microrganismi che vivono in questi ambienti, per esempio nelle rocce di sale nel deserto di Atacama non hanno bisogno di pioggia, ma solo di una certa quantità di umidità nell’atmosfera. E sì, se gli dessimo acqua di troppo, sarebbe come annegarli.
Cosa può essere accaduto su Marte
Stessa cosa potrebbe essere accaduta su Marte.
Forse i presunti microbi marziani raccolti non sono riusciti a gestire quella quantità di acqua e sono morti dopo un po’ – ipotizza lo scienziato – La maggior parte degli esperimenti sono stati condotti all’asciutto, contrariamente agli altri esperimenti. La prima corsa è stata positiva per la vita rispetto ad uno di controllo condotta successivamente, progettato in modo che nessuna forma di vita potesse essere coinvolta. È interessante notare che l’unico esperimento in condizioni umide ha avuto meno segnale rispetto al controllo
Le condizioni sul Pianeta Rosso
Tutto è chiaramente solo un’ipotesi, al momento difficilmente verificabile. Ma di certo sappiamo che le missioni Viking 1 e 2 sono atterrati nella regione equatoriale di Marte, dove, anche se il contenuto di sali del suolo è piuttosto basso, sappiamo essere presente una grande quantità di perossido di idrogeno (nome comune: acqua ossigenata) e perclorati, tutti molto igroscopici.
Inoltre, Viking ha osservato nebbia su Marte, il che significa 100% di umidità: in linea di principio, l’umidità relativa sarebbe stata quindi sufficientemente alta nelle ore mattutine e serali da consentire ai microbi di assorbire l’umidità.
Se assumiamo che la vita indigena marziana possa essersi adattata al suo ambiente incorporando il perossido di idrogeno nelle sue cellule, questo potrebbe spiegare i risultati di Viking 1 e 2 – conclude Schulze-Makuch – Lo strumento utilizzato per rilevare i composti organici (gascromatografo accoppiato a spettrometro di massa) ha riscaldato i campioni di terreno prima dell’analisi. Se le cellule marziane avessero contenuto perossido di idrogeno, ciò le avrebbe uccise. Inoltre, avrebbe fatto reagire il perossido di idrogeno con qualsiasi molecola organica nelle vicinanze formando grandi quantità di anidride carbonica, che è esattamente ciò che lo strumento ha rilevato
Un’affascinante ipotesi (da verificare) che indicherebbe come l’uomo, purtroppo, è in grado di distruggere tutto anche non volendo.
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Fonte: Big Think
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