Pezzi dell’asteroide Vesta sono stati scoperti sull’asteroide Bennu, grande come l’Empire State Building

Sull'asteroide Bennu sono presenti meteoriti provenienti da un altro asteroide, Vesta. A rivelarlo è stata la Nasa

Sull’asteroide Bennu sono presenti meteoriti provenienti da un altro asteroide, Vesta. A rivelarlo è stata la Nasa che grazie allo strumento OSIRIS-REx ha individuato rocce spaziali “aliene”.

Vesta è uno degli asteroidi più grandi presenti nella fascia principale degli asteroidi. Esso ha un diametro di circa 530 chilometri e una massa stimata pari al 12% di quella dell’intera fascia. È talmente grande e brillante che a volte è visibile a occhio nudo dalla Terra. Gode anche di un primato: è quello più studiato grazie alla disponibilità di campioni di roccia sotto forma di meteoriti.

A farlo da tempo è la Nasa. Di recente, attraverso la sonda spaziale OSIRIS-REx, è stato notato qualcosa di anomalo su Bennu, un altro asteroide. Su di esso sarebbe presente materiale proveniente da Vesta. Il nuovo risultato fa luce sull’intricata danza orbitale degli asteroidi e sull’origine violenta di Bennu, soprannominato dagli scienziati “cumulo di macerie” visto che si è formato dai frammenti di una massiccia collisione tra corpi celesti.

Gli insoliti massi su Bennu hanno catturato per la prima volta l’attenzione del team nelle immagini della Camera Suite (OCAMS) di OSIRIS-REx. Essi apparivano estremamente luminosi, alcuni quasi dieci volte di più rispetto all’ambiente circostante. Così gli scienziati hanno analizzato la “luce” delle rocce per ottenere indizi sulla loro composizione attraverso uno spettrometro. Hanno così scoperto che erano ricchi di pirosseno, minerale di cui Vesta è molto ricco:

“Abbiamo trovato sei massi di dimensioni comprese tra 1,5 e 4,3 metri, sparsi nell’emisfero meridionale di Bennu e vicino all’equatore”, ha detto Daniella DellaGiustina del Lunar & Planetary Laboratory, University of Arizona, Tucson. “Questi massi sono molto più luminosi del resto di Bennu e corrispondono al materiale di Vesta.”

Durante la primavera del 2019, la sonda spaziale OSIRIS-REx della NASA ha catturato le immagini, che mostrano i frammenti dell’asteroide Vesta presenti sulla superficie di Bennu. I massi luminosi Alcuni si presentano sotto forma di ammassi, altri sono singoli.

Secondo gli scienziati della Nasa, è probabile che Bennu abbia ereditato questo materiale dal suo asteroide genitore, a sua volta colpito da un frammento di Vesta:

“Poi, quando l’asteroide genitore è stato catastroficamente distrutto, una parte dei suoi detriti si è accumulata sotto la sua stessa gravità su Bennu, inclusi alcuni dei pirosseni di Vesta” ha detto Hannah Kaplan del Goddard Space Flight Center della NASA a Greenbelt, nel Maryland.

E’ possibile che i massi si siano effettivamente formati sull’asteroide genitore di Bennu, ma il team ritiene che ciò sia improbabile in base a come si forma tipicamente il pirosseno. Quest’ultimo infatti si genera quando il materiale roccioso si scioglie ad alta temperatura. Tuttavia, la maggior parte di Bennu è composta da rocce contenenti minerali che trasportano acqua, quindi lui e il suo genitore non avrebbero potuto sperimentare temperature molto elevate.

Successivamente, il team ha considerato il riscaldamento localizzato, forse legato a un impatto così forte da fondere abbastanza materiale da creare grandi massi di pirosseno. Ma l’impatto sarebbe stato così forte da distruggere il corpo genitore di Bennu. Quindi, il team ha escluso questi scenari e ha invece considerato altri asteroidi ricchi di pirossenoi che potrebbero aver portato questo materiale su Bennu o sul suo genitore.

Le osservazioni rivelano che non è insolito che un asteroide abbia materiale di un altro asteroide schizzato sulla sua superficie.

Ciò indica che molti asteroidi stanno partecipando a una complessa danza orbitale che a volte si traduce in incontri cosmici di cui rimane traccia.

La sonda della Nasa a ottobre tenterà per la prima volta di campionare Bennu e riportare le sue rocce sulla Terra nel 2023 per un’analisi dettagliata.

Fonti di riferimento: Inaf, Nasa

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