E se fra un decennio scomparisse Internet? Secondo un nuovo studio uno “tsunami solare” potrebbe colpire il nostro Pianeta entro 10 anni
Uno tsunami solare potrebbe distruggere Internet entro un decennio, secondo uno studio. Se fosse davvero così, saremmo pronti ad affrontare questo evento?
E se fra un decennio scomparisse Internet? Secondo un nuovo studio uno “tsunami solare” potrebbe colpire il nostro Pianeta entro 10 anni, provocando il black-out delle comunicazioni web. Uno scenario che, pur se apocalittico, non sembra così improbabile. L’ipotesi è stata formulata da Sangeetha Abdu Jyothi, ricercatore presso l’Università della California.
Secondo l’esperto, l’umanità dovrebbe preparare la sua infrastruttura Internet per future tempeste solari, altrimenti si rischia davvero un’interruzione paralizzante delle comunicazioni globali. Infatti un evento solare inaspettato avrebbe la capacità di mettere fuori uso Internet nel mondo con costi e ramificazioni incalcolabili, risultando in quella che è stata soprannominata l’apocalisse di Internet.
Proprio recentemente, nei primi giorni del mese di luglio, il sole si era reso protagonista di un’imponente eruzione, la più grande degli ultimi quattro anni. L’abbiamo avvertita chiaramente anche dalla Terra dove tra il 3 e il 4 luglio si sono registrati dei blackout radio.
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La nostra stella segue un ciclo naturale di attività di 11 anni, misurato dal minimo di attività al massimo (con macchie solari, eruzioni e tempeste). Il ciclo solare 25 è iniziato a dicembre 2019, quindi ci stiamo dirigendo verso il periodo di massimo solare, atteso intorno al 2025.
Al picco l’intensità di questi eventi, espulsioni di massa coronale che accelerano le particelle cariche nell’atmosfera solare a velocità molto elevate, può essere chiaramente avvertita sul nostro pianeta (con problemi alle comunicazioni, ma anche splendide aurore boreali e australi).
E l’evento di luglio ci insegna che, comunque, può avvenire anche l’imprevisto, ovvero “guizzi inattesi” anche in un periodo teoricamente più calmo del ciclo solare. Il recente evento, in particolare, è stato classificato come brillamento di classe x, la tipologia più intensa.
Cosa potrebbe avvenire entro un decennio?
Abdu Jyothi si è concentrato sulle espulsioni di massa coronale (CME), più comunemente note come tempeste solari, calcolando i probabili esiti di un colpo diretto. Per questo ha esaminato la distribuzione dell’infrastruttura Internet, i dati sulla popolazione e la resilienza dell’infrastruttura stessa, stimando quali aree sarebbero state probabilmente più colpite e come si sarebbero verificati i problemi di connettività tra i continenti.
Determinare comunque la probabilità e le effettive ramificazioni di queste tempeste solari è piuttosto complicato, poiché una CME non ha mai colpito la Terra con l’infrastruttura Internet attiva (sebbene si sia rischiato un incidente nel luglio 2012). E, poiché le tempeste solari sono altamente direzionali, sarebbe necessario che l’evento colpisse la Terra frontalmente.
Ma la prima tempesta solare registrata colpì gli Stati Uniti nel 1859, nota come evento di Carrington, causò diffusi problemi al telegrafo, tanto che, anche quando l’alimentazione era scollegata, c’era abbastanza corrente nel sistema per inviare messaggi.
Ecco, se un evento su scala Carrington colpisse oggi gli Stati Uniti, le stime prevedono una perdita di energia per 20-40 milioni di persone per due anni e questo costerebbe tra 600 miliardi e 2,6 trilioni di dollari, senza tenere conto del possibile black out di Internet.
Prestare attenzione a questa minaccia e pianificare le difese contro di essa come lo sforzo preliminare che abbiamo fatto in questo documento, è fondamentale per la resilienza a lungo termine di Internet.
conclude il ricercatore.
Non abbiamo molto tempo per prepararci, ma agendo subito possiamo evitare disastri economici incalcolabili e goderci in pace le aurore boreali e australi che sono attese anche a basse latitudini.
Il lavoro è stato recentemente presentato nel corso della conferenza online dell’ACM Special Interest Group on Data Communication (SIGCOMM), ma non è stato comunque ancora pubblicato su alcuna rivista soggetta a revisione della comunità scientifica.
Fonti di riferimento: Sangeetha Abdu Jyothi/Università della California
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