Sono nate ben 13 miliardi di anni fa, cioè quando l'universo era ancora giovanissimo e buio, e sono così remote da essere ancora parzialmente avvolte nella “nebbia primordiale” di idrogeno neutro che ha permeato lo spazio per centinaia di milioni di anni dopo il Big Bang. Si tratta delle più antiche galassie mai osservate, distanti ben 12,9 miliardi di anni luce dalla Terra.
Sono nate ben 13 miliardi di anni fa, cioè quando l’universo era ancora giovanissimo e buio, e sono così remote da essere ancora parzialmente avvolte nella “nebbia primordiale” di idrogeno neutro che ha permeato lo spazio per centinaia di milioni di anni dopo il Big Bang. Si tratta delle più antiche galassie mai osservate, distanti ben 12,9 miliardi di anni luce dalla Terra.
La sensazionale scoperta, in via di pubblicazione sulla rivista The Astrophysical Journal, si deve a un team di scienziati che, per ottenere questi eccezionali risultati, ha intrapreso una lunga e complessa serie di osservazioni, condotte nell’arco di tre anni, con il Very Large Telescope dell’Osservatorio Europeo Meridionale (Eso) e con il telescopio spaziale Hubble, nell’ambito di un progetto di ricerca a guida italiana, coordinato dall’Istituto Nazionale di Astrofisica.
“Nel nostro lavoro abbiamo vestito un po’ i panni degli archeologi” commenta Adriano Fontana, dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Roma, che ha coordinato il progetto di ricerca. “Gli archeologi –spiega l’astronomo- possono ricostruire la linea del tempo dagli artefatti che trovano nei diversi strati di terreno. Gli astronomi sono ancora più fortunati: possiamo osservare direttamente il passato lontano e vedere la debole luce delle diverse galassie a diversi stadi di evoluzione cosmica. La differenza tra le galassie ci mostra le condizioni dell’Universo che mutano in questo periodo così importante, e quanto in fretta si verificavano questi cambiamenti”.
Si tratta del più numeroso e antico campione che sia mai stato osservato, con un’enorme differenza tra le galassie più giovani e quelle più vecchie per quanto riguarda la quantità di luce ultravioletta che viene bloccata. “Osservando galassie meno distanti -spiega Laura Pentericci dell’INAF, prima autrice dello studio- siamo abituati a vedere una tipica ‘firma’ di questi oggetti ricchi di stelle giovani, la cosiddetta riga Lyman-alfa dell’idrogeno. Quando abbiamo analizzato questi oggetti primordiali ci siamo accorti di come questa fosse molto più debole di quanto ci aspettavamo, o addirittura assente”.
La spiegazione più probabile è che questa riga di cui parla la Pentericci sia stata “nascosta” dalla grande quantità di idrogeno neutro che permeava lo spazio: “abbiamo stimato –spiega la ricercatrice- che in tale epoca, a soli 780 milioni di anni dal Big-Bang, questo elemento dovesse costituire dal 10 al 50% del volume dell’universo. Sappiamo che appena 200 milioni di anni dopo questo livello è molto più basso, con valori simili a quelli che osserviamo ai giorni nostri”. Insomma, sembra che la reionizzazione sia avvenuta molto più rapidamente di quanto gli scienziati avevano creduto finora.
Roberta Ragni