Gli anelli di Saturno hanno un ruolo fondamentale che nessuno aveva visto per oltre 40 anni

Lotfi Ben-Jaffel ha compreso per la prima volta come gli anelli di Saturno riscaldino la sua stessa atmosfera. Si tratta di una scoperta enorme, dato che non era mai stato osservato prima questo fenomeno nel sistema solare

Utilizzando i dati di diverse missioni spaziali e del telescopio Hubble, un astronomo ha compreso come gli anelli di Saturno riscaldino la sua stessa atmosfera, cosa mai vista prima nel nostro sistema solare.

La scoperta ha una portata enorme, come ha annunciato la NASA in un comunicato:

Il segreto è stato nascosto in bella vista per 40 anni. Ma c’è voluta l’intuizione di un astronomo veterano per mettere insieme tutto in un anno. Il vasto sistema di anelli di Saturno sta riscaldando l’atmosfera superiore del pianeta gigante. Il fenomeno non è mai stato osservato prima nel sistema solare. Si tratta di un’interazione inaspettata tra Saturno e i suoi anelli che potenzialmente potrebbe fornire uno strumento per prevedere se anche i pianeti intorno ad altre stelle hanno sistemi di anelli gloriosi simili a Saturno.

Un eccesso di radiazione ultravioletta è stato la chiave di volta

Lo studio ha utilizzato immagini di Saturno provenienti dal telescopio spaziale Hubble della NASA e dalla sonda Cassini, ormai in pensione, oltre che dalle navicelle Voyager 1 e 2 e dalla missione International Ultraviolet Explorer, anch’esse in disuso.

La prova rivelatrice è stata un eccesso di radiazione ultravioletta, vista come una linea spettrale dell’idrogeno caldo nell’atmosfera di Saturno. La NASA ha spiegato:

L’aumento della radiazione significa che qualcosa sta contaminando e riscaldando l’atmosfera superiore dall’esterno. La spiegazione più plausibile è che le particelle ghiacciate dell’anello che piovono sull’atmosfera di Saturno causino questo riscaldamento. Ciò potrebbe essere dovuto all’impatto di micrometeoriti, al bombardamento di particelle del vento solare, alla radiazione ultravioletta solare o a forze elettromagnetiche che raccolgono polvere elettricamente carica. Tutto questo avviene sotto l’influenza del campo gravitazionale di Saturno che attira le particelle verso il pianeta.

@NASA / ESA / Lotfi Ben-Jaffel

Prima non si sapeva nulla del contenuto di idrogeno atomico

Quando la sonda Cassini della NASA si è immersa nell’atmosfera di Saturno al termine della sua missione nel 2017, ha misurato i costituenti atmosferici e ha confermato che molte particelle stanno cadendo dagli anelli.

Lotfi Ben-Jaffel, dell’Istituto di Astrofisica di Parigi e dell’Università dell’Arizona, ha dichiarato in un articolo pubblicato sul Planetary Science Journal:

Sebbene la lenta disintegrazione degli anelli sia ben nota, la sua influenza sull’idrogeno atomico del pianeta è una sorpresa. Dalla sonda Cassini sapevamo già dell’influenza degli anelli. Tuttavia non sapevamo nulla del contenuto di idrogeno atomico. Tutto è guidato dalle particelle degli anelli che entrano a cascata nell’atmosfera a latitudini specifiche. Esse modificano l’atmosfera superiore, cambiandone la composizione. E poi ci sono anche processi collisionali con i gas atmosferici che probabilmente riscaldano l’atmosfera a una determinata altitudine.

Per giungere a questa conclusione, Ben-Jaffel ha dovuto riunire le osservazioni d’archivio della luce ultravioletta (UV) di quattro missioni spaziali che hanno studiato Saturno, comprese le sonde Voyager che hanno sorvolato Saturno negli anni ‘80 e hanno misurato l’eccesso di UV. All’epoca, gli astronomi avevano archiviato le misurazioni come rumore nei rivelatori.

L’uso delle misurazioni dello Space Telescope Imaging Spectrograph di Hubble è stato fondamentale

Anche la missione Cassini, arrivata su Saturno nel 2004, ha raccolto dati UV sull’atmosfera per diversi anni. Altri dati provengono da Hubble e dall’International Ultraviolet Explorer, lanciato dall’ESA, dalla NASA e dal Regno Unito nel 1978.

Ma la domanda persistente era se tutti i dati potessero essere illusori o se invece riflettessero un fenomeno reale su Saturno. La chiave per comporre il puzzle è stata la decisione di Ben-Jaffel di utilizzare le misurazioni dello Space Telescope Imaging Spectrograph (STIS) di Hubble.

Le sue osservazioni di precisione di Saturno sono state utilizzate per calibrare i dati UV d’archivio di tutte le altre quattro missioni spaziali che hanno osservato Saturno. Ha confrontato le osservazioni UV STIS di Saturno con la distribuzione della luce di diverse missioni e strumenti spaziali. Lotfi Ben-Jaffel ha sostenuto:

Quando tutto è stato calibrato, abbiamo visto chiaramente che gli spettri sono coerenti tra tutte le missioni. Questo è stato possibile perché abbiamo lo stesso punto di riferimento, da Hubble, sul tasso di trasferimento di energia dall’atmosfera misurato per decenni. È stata davvero una sorpresa per me. Ho semplicemente tracciato insieme i diversi dati sulla distribuzione della luce e poi ho capito: wow, è la stessa cosa. In qualsiasi momento, in qualsiasi posizione del pianeta, possiamo seguire il livello di radiazione UV. Questo indica come migliore spiegazione la costante ‘pioggia di ghiaccio’ proveniente dagli anelli di Saturno. Alla fine vogliamo avere un approccio globale che fornisca una vera e propria firma sulle atmosfere di mondi lontani. Uno degli obiettivi di questo studio è vedere come applicarlo ai pianeti in orbita attorno ad altre stelle. Chiamiamola la ricerca degli ‘exo-ring’.

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Fonte: NASA

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