È venuto alla luce nel mare della costa nord orientale della Sardegna, nel territorio di Arzachena, un ricco deposito di follis risalente alla prima metà del IV secolo d.C.
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©MiC
Un immenso deposito di follis, delle monete di bronzo che vennero introdotte nel 294 d.C. con la riforma di Diocleziano nell’impero romano e poi usate anche dai bizantini, risalente alla prima metà del IV secolo d.C.
Siamo nel mare della costa nord orientale della Sardegna, nel territorio di Arzachena, e qui – secondo una prima stima – il numero delle grandi monete venute alla luce si aggirerebbe tra i 30mila e i 50mila esemplari. Individuate, inoltre, anche pareti di anfore di produzione africana e, in minor numero, di produzione orientale.
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A scoprire i reperti è stato un privato cittadino che, nel corso di un’immersione, ha notato dei resti metallici a poca profondità, non molto distante dalla costa. In seguito, le immersioni del Nucleo archeologico subacqueo della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Sassari e Nuoro hanno rivelato l’esistenza di due macro-aree di dispersione dei follis in un grande spiazzo di sabbia che si apre tra la spiaggia e la posidonia (che, secondo quanto si legge nella nota, potrebbe conservare resti di un relitto).
Tutte le monete prelevate sono in buono stato di conservazione. Solo 4 risultano danneggiate, anche se comunque leggibili. Il contesto cronologico delle monete si aggira in un arco temporale tra il 324 (monetazione di Licinio) e il 340 d.C. Datazione confermata dalla presenza di monetazione di Costantino il Grande e da quella di tutti gli altri membri della famiglia presenti come cesari ma soprattutto dall’assenza di centenionales, coniati a partire d al 346 d.C. Il gruppo dei follis recuperato proviene da quasi tutte le zecche dell’impero attive in quel periodo ad eccezione di Antiochia, Alessandria e Cartagine.
Il tesoro rinvenuto nelle acque di Arzachena rappresenta una delle più importanti scoperte di reperti numismatici degli ultimi anni ed evidenzia ancora una volta la ricchezza e l’importanza del patrimonio archeologico che i fondali dei nostri mari, attraversati da uomini e merci fin dalle epoche più antiche, ancora custodisce e conserva. Un patrimonio straordinario ma anche molto fragile, costantemente minacciato da fenomeni naturali e dall’azione dell’uomo, sulla cui tutela il Ministero, attraverso l’azione delle sue strutture centrali e periferiche, ha sviluppato metodologie e tecniche di recupero e di conservazione di straordinaria efficacia e messo in campo innovative strategie di valorizzazione, conclude il Direttore generale ABAP, Luigi La Rocca.
Fonte: MiC
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