La campionessa di scacchi Sara Khadem ha scelto di giocare senza velo per sostenere le proteste seguite all’uccisione di Mahsa Amini. Una scelta che le è costata molto caro, dato che è costretta a vivere in una località segreta della Spagna
Sara Khadem è quella che può essere definita una “bambina prodigio”. Nata a Teheran nel 1997, a 8 anni già trascorreva 10 ore al giorno a giocare a scacchi. E da allora non ha mai smesso. A 12 anni girava il mondo con la Federazione Nazionale ed era stata incoronata campionessa del mondo under 12. Titolo ripetuto con gli under 16.
Ma a far parlare di lei non sono stati tanto i risultati agonistici incredibili ottenuti, quanto quel gesto di ribellione che l’ha trasformata in uno dei simboli della resistenza iraniana. Sara ha infatti deciso di giocare il Campionato Mondiale di Scacchi Rapidi in Kazakistan senza indossare l’hijab, indumento che, nel suo Paese natale, è obbligatorio per le donne a partire dai nove anni.
Il motivo, ovviamente, non è banale. Lo ha fatto per mostrare la propria solidarietà a ciò che era successo all’epoca pochi giorni prima con l’uccisione di Mahsa Amini da parte della “polizia morale” iraniana perché non indossava correttamente il velo.
La decisione l’ha costretta a trasferirsi in Spagna
Sapeva che la sua decisione avrebbe potuto costarle caro, a lei, al marito e al figlio nato da poco. Eppure voleva distaccarsi da questa folle e inutile ferocia, come ha raccontato:
Ho riflettuto sul fatto che, se avessi giocato il torneo con il velo, la mia sarebbe potuta apparire come una scelta contro il popolo, un tacito atto di sostegno nei confronti di ciò che il governo stava facendo. Ma la mia decisione avrebbe inevitabilmente coinvolto anche mio marito, quindi, prima, ne abbiamo parlato. Gli ho detto che avrei giocato senza velo o non avrei partecipato al torneo. Lui mi ha sostenuto fino in fondo.
E così la famiglia ha dovuto trasferirsi. Ora vive in una località segreta in Spagna dove già avevano pianificato di trasferirsi dato che il marito, il produttore e regista iraniano Ardeshir Ahmadi, aveva trascorso tre mesi nella peggiore prigione del Paese per motivi non ben precisati di contrarietà al regime.
In Iran non possono più tornare perché, probabilmente, verrebbero arrestati in aeroporto. L’idea certo già c’era, ma le cose sono precipitate e hanno dovuto lasciare l’Iran da un giorno all’altro “senza nemmeno poter salutare i nostri cari”.
Il problema, a suo dire, è il fatto di essere costrette ad indossare il velo
Quella del velo non era la prima protesta di Sara che dunque era un’osservata speciale. Nel 2020 si era nel 2020 si era rifiutata di giocare per la squadra nazionale dopo che il governo aveva abbattuto un volo di linea ucraino con un missile antiaereo.
Nel 2019 aveva condiviso un video a sostegno del suo connazionale e co-campione di scacchi Alireza Firouzja, dopo che questi era stato espulso dalla federazione iraniana per essersi rifiutato di accettarne la decisione di ritirare i propri giocatori dal Campionato del Mondo Blitz di Mosca in segno di protesta contro la presenza di scacchisti israeliani (in seguito al proprio atto di “ribellione”, Firouzja è dovuto emigrare in Francia).
La campionessa pensava che tutto sarebbe scemato presto un’altra volta, mantenendo un basso profilo per un po’ ma così non è stato. Sara però non si è pentita, anche perché è convinta delle sue ragioni:
Gli indumenti ci definiscono, soprattutto qualcosa di così fortemente simbolico come il velo. Ma, in realtà, il problema è semplicemente il fatto di essere costrette a indossarlo. L’hijab è diventato il simbolo del movimento, ma non si tratta solo di questo. Molte regole sono di fatto contro le donne e, quando ci pensi, puoi solo domandarti come cose del genere possano accadere nel mondo moderno.
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