Quando ti parla raramente ti guarda fisso negli occhi, ma la sua timidezza svanisce appena sale sul tappetino e di fronte a lui c’è il suo avversario sportivo di lotta stile libero. In quel momento, non c’è spazio per i brutti pensieri, perché l’obiettivo è vincere ed arrivare a gareggiare alle Olimpiadi 2020.
Quando ti parla raramente ti guarda fisso negli occhi, ma la sua timidezza svanisce appena sale sul tappetino e di fronte a lui c’è il suo avversario sportivo di lotta stile libero. In quel momento, non c’è spazio per i brutti pensieri, perché l’obiettivo è vincere ed arrivare a gareggiare alle Olimpiadi 2020.
Iraniano, classe ’98 Muhamad Mahdi Biniaz da giugno 2016 è un rifugiato politico, uno dei tanti ragazzi che si sono lasciati alle spalle storie di violenze, di disagio, di povertà e di rassegnazione e sono fuggiti arrivando in Italia, in cerca di un riscatto sociale.
Oggi, Muhamad vive nel comune calabrese di Villa San Giovanni, in un appartamento con altri ragazzi bengalesi e pakistani, tutti richiedenti asilo e beneficiari del Progetto Sprar “Approdi Mediterranei”, gestito dall’Arci comitato provinciale di Reggio Calabria.
“In Italia tante persone mi stanno aiutando, ma soprattutto ho trovato chi ha creduto nella mia passione per la lotta”, spiega a greenMe.it tra parole e gesti in un italiano che stenta a decollare.
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DALL’IRAN ALL’ITALIA
“Quando sono arrivato in Italia ero un minore non accompagnato. Sono stato mandato a Lamezia Terme, in Calabria, ma non ho mai perso di vista il mio obiettivo: quello di continuare a fare il lottatore e raggiungere dei traguardi importanti”, racconta Muhamad.
Con il sogno delle Olimpiadi in tasca, una testa calda sulle spalle e una buona dose di testardaggine, da qualche mese ha iniziato ad allenarsi nell’Asd Sgs Fortitudo 1903 RC del presidente Giuseppe Pellicone.
“Ho intrapreso a praticare la lotta da piccolo. Da noi è una questione culturale e già dall’asilo passiamo parecchie ore al giorno sul tappetino, lavorando duramente”, continua.
Così duramente, che purtroppo i metodi utilizzati non prevedevano solo la disciplina, ma anche, e soprattutto, la violenza. Come dimostra l’episodio che ci racconta il suo allenatore:
“La prima volta che Muhamed ha messo piede in palestra, avevo già capito di aver di fronte un vero atleta. Per fargli provare un esercizio per le braccia sono andato a prendere un bastone, ma mi sono accorto che nei suoi occhi c’era il terrore ed è quasi scappato via”, dice il responsabile tecnico Demetrio Condò.
LA PASSIONE E LA VITTORIA, NONOSTANTE LA VITA DIFFICILE
Per amore della lotta, l’atleta iraniano prima di essere trasferito da Lamezia a Villa San Giovanni, faceva ogni giorno due ore di treno per arrivare agli allenamenti.
“Ricordo che il primo giorno avevo mostrato il video di una mia gara al nuovo maestro, per fargli capire ciò che riuscivo a fare”.
Da allora, la palestra è diventata la sua seconda casa dove Condò l’ha accolto come un figlio, dimostrando che l’integrazione passa anche dallo sport.
Ma gli aneddoti che si potrebbero raccontare sull’atleta iraniano sono davvero tanti, ma fra tutti, c’è la colazione fatta la mattina in cui doveva disputare la sua prima gara italiana: i Campionati regionali calabresi di lotta.
“Aveva mangiato riso, pollo e legumi. Quando l’avevo visto sdraiarsi a terra per respirare, avevo pensato non ce la farà mai a vincere. Poi ha battuto per 10 a zero il campione assoluto di lotta greco romana”, spiega il maestro.
Un po’ indisciplinato e a volte in piena autogestione Muhamed però ha già dimostrato il suo valore, non solo in ambito sportivo.
“Si è integrato perfettamente con i suoi compagni di squadra, come in una grande famiglia ritrovando la serenità che gli era stata negata. Alla sua prima vittoria, ha regalato la medaglia ad una ragazza che si allena con lui e non ha alzato il braccio in segno di vittoria”.
Dalle competizioni internazionali asiatiche adesso ricomincia da qui, dal Paese che l’ha accolto.
“Ho avuto una grande fortuna, una seconda possibilità. La vita in Iran è il mio passato e adesso voglio guardare solo al mio futuro”.
Testo e foto Dominella Trunfio