Oksana, l’orfana del disastro nucleare di Chernobyl che trionfa a Sochi

Ha 24 anni, è senza gambe e soffre di varie menomazioni. Oksana Masters è una delle atlete più promettenti presente alle Paraolimpiadi di Sochi. Ha fatto guadagnare agli Stati Uniti la loro prima medaglia nel fondo paralimpico in 20 anni: ha conquistato l'argento nella 12 km dello sci nordico sitting. Ma non è solo questo a renderla straordinaria. Oksana era una bambina di Chernobyl.

Ha 24 anni, è senza gambe e soffre di varie menomazioni. Oksana Masters è una delle atlete più promettenti presente alle Paraolimpiadi di Sochi. Ha fatto guadagnare agli Stati Uniti la loro prima medaglia nel fondo paralimpico in 20 anni: ha conquistato l’argento nella 12 km dello sci nordico sitting. Ma non è solo questo a renderla straordinaria. Oksana era una bambina di Chernobyl.

È nata a Khmelnytskyi, a 300 chilometri a sud ovest dal sito del disastro nucleare che le ha causato grandi difetti alla nascita per via dell’avvelenamento da radiazioni dell’utero della sua madre naturale. Dita palmate, senza il pollice, sei dita nei piedi, gamba sinistra più corta dell’altra e tutte e due senza tibia. Forse proprio per colpa di questa sua condizione fisica, è finita in orfanotrofio. Nella sua infanzia ha girato tre diverse strutture per bambini abbondonati, dove è stata regolarmente picchiata, maltrattata e violentata.

Quando Gay Masters, un professore di Buffalo, New York, ha deciso di adottare Oksana nel 1995, l’Ucraina aveva appeno sospeso le adozioni estere. È stato solo due anni più tardi che la bambina ha potuto finalmente incontrare la sua mamma adottiva, nel 1997. Quando è arrivata negli USA ha subito ricevute cure, attenzioni e amore che fino ad allora le erano state negate.

I medici hanno optato per un’amputazione di entrambe le sue gambe sopra il ginocchio, che non presentavano ossa portanti. Tutto questo sembra averle dato ancora più forza. Fino alla medaglia olimpica. E pensare che ha iniziato a sciare meno di un anno fa.

Quella di Oksana è una storia a lieto fine, che ci impone però di onorare il ricordo di quel drammatico disastro del 1986. Implicazioni ambientali a parte, nessuna promessa di un’energia nucleare più sicura potrà mai restituire la salute e la pace interiore perduti da chi ne è rimasto vittima.

Roberta Ragni

Foto Credit Dmitry Lovetsky/AP

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