Così il calcio può farti cambiare idea sui rifugiati

Il calcio, collante sociale, può sfociare in atteggiamenti nazionalistici ostili verso i rifugiati, ma talvolta aiuta a capire la diversità.

Il calcio, si sa, è uno sport che favorisce l’aggregazione sociale e contribuisce a rafforzare impulsi nazionalistici nei momenti in cui a giocare partite importanti come i campionati Mondiali o gli Europei è la propria squadra nazionale.

Il calcio però, quando è associato al nazionalismo, può anche favorire atteggiamenti di ripulsa e diffidenza nei confronti di chi non fa parte della propria comunità nazionale in senso stretto, come i rifugiati e i richiedenti asilo.

Simili fenomeni sono stati osservati e analizzati in un recente studio, pubblicato lo scorso 10 marzo sulla rivista accademica Comparative Political Studies, con il titolo Team and Nation: Sports, Nationalism, and Attitudes Toward Refugees (“Squadra e nazione: sport, nazionalismo e atteggiamenti nei confronti dei rifugiati”).

I due autori, Leah R. Rosenzweig e Yang-Yang Zhou, hanno mostrato quanto la vittoria di una Nazionale di calcio possa incentivare forti sentimenti nazionalistici e una sorta di orgoglio nazionale tra i cittadini di un dato paese, accompagnati però da un generale atteggiamento di ostilità nei confronti dei non autoctoni, degli outsiders.

Rosenzweig ha rilevato che la gran parte delle ricerche condotte sui rifugiati riguardano paesi industriali avanzati, quando in realtà l’85% dei rifugiati si trovano nei cosiddetti paesi in via di sviluppo e, di questi, il 26% vive nell’Africa subsahariana.

In effetti, è proprio nei luoghi dove vi sono guerre civili, conflitti etnici, siccità, persecuzioni politiche e altri fattori di crisi che le persone sono costrette ad abbandonare le proprie case e a fuggire lontano, e talvolta a varcare i confini nazionali per rifugiarsi in paesi limitrofi considerati relativamente più sicuri. Per questo motivo, lo studio si sofferma su due case studies africani, il Kenya e la Tanzania.

Nel 2015, 400.000 abitanti del Burundi sono fuggiti in Tanzania dopo la crisi politica seguita alle proteste contro il presidente del Burundi Pierre Nkurunziza, che intendeva candidarsi per un terzo mandato, in aperta violazione della Costituzione. In seguito, quei fuoriusciti sono stati costretti al rimpatrio forzato in Burundi. Il vicino Kenya invece ospita quasi mezzo milione di rifugiati, la metà dei quali sono originari della Somalia, paese colpito dalla devastazione della guerra civile e da una preoccupante crisi climatica.

La squadra vincente e l’ostilità per i rifugiati

I ricercatori hanno usato come fonti un sondaggio online proposto su Facebook e una partita di calcio tra Kenya e Tanzania nella Coppa d’Africa 2019, il principale torneo di calcio maschile del continente africano, per verificare se e in che misura una vittoria sportiva nazionale potesse modificare o influenzare l’atteggiamento generale nei confronti dei rifugiati.

Al campione di indagine selezionato, costituito da un gruppo di adulti keniani e tanzianiani, sono state poste domande estratte da un questionario, in grado di misurare il livello di orgoglio nazionale e l’atteggiamento verso i rifugiati due settimane prima della partita e due settimane dopo la partita.

I ricercatori hanno confrontato il mutamento di atteggiamento al termine della partita comparando i sentimenti dei tifosi della squadra vittoriosa con quelli dei seguaci della squadra perdente, per determinare se in che misura la vittoria della Nazionale potesse esercitare una certa influenza sui sentimenti nazionalistici e anti-rifugiati.

Tra i keniani, che celebravano la vittoria della propria Nazionale, quella partita di calcio aveva avuto l’effetto di aumentare il livello di ostilità verso i rifugiati, visti come una minaccia alla presunta unità culturale e all’integrità nazionale del paese. Non era però accaduto altrettanto ai tanzaniani, la cui squadra aveva perso il match.

Il bello e il brutto del nazionalismo

Come osservato da Zhou, il nazionalismo è un’arma a doppio taglio, e sta a noi decidere come usarla e a quale scopo. Le ricerche finora condotte negli Stati Uniti e in Europa hanno legato il nazionalismo alla xenofobia, all’odio razziale e all’intolleranza, mentre altri studi svolti in Africa hanno mostrato alcuni aspetti positivi del nazionalismo. Quest’ultimo, in certi contesti, può ridurre la conflittualità e incoraggiare una migliore cooperazione tra i gruppi subnazionali, per esempio tra gruppi etnici e religiosi.

Effetti positivi

Tuttavia, ad alcuni intervistati sono stati presentati una serie di messaggi che evocavano ed enfatizzavano la diversità culturale dei calciatori partecipanti al torneo di calcio, ma senza citare espressamente i rifugiati; in realtà, nessun calciatore delle due squadre considerate era un rifugiato.

Secondo i keniani che avevano assorbito quel messaggio transculturale e non divisivo, la vittoria di quella partita avrebbe effettivamente migliorato il loro atteggiamento nei confronti dei rifugiati, un miglioramento non riscontrabile invece tra i tanzaniani intervistati. Quell’effetto pro-rifugiati sarebbe durato per tre giorni dalla vittoria della Nazionale del Kenya. Un tempo limitato, ma meglio di niente.

Ciò dimostrerebbe la possibilità di incoraggiare le persone ad abbandonare atteggiamenti di ostilità nei confronti dell’Altro, del rifugiato o del migrante, durante eventi culturali di rilievo come i grandi tornei di calcio. Le organizzazioni internazionali per i rifugiati, i gruppi per la protezione dei rifugiati e i governi nazionali di tutto il mondo potrebbero quindi sfruttare questo aspetto per favorire il riconoscimento e l’integrazione dei rifugiati nella vita sociale, economica e politica delle comunità nazionali di accoglienza.

Fonti: MIT/Leah Rosenzweig.com

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