Scoperto nuovo legame tra inquinamento atmosferico e coronavirus. I tassi di mortalità sono più elevati nelle zone più inquinate
Si muore di più per coronavirus nella aree più inquinate? In molti se lo stanno chiedendo in queste settimane e tante sono state le ipotesi e gli studi scientifici su questo tipo di correlazione, tra cui quello che metteva il pm2,5 come possibile vettore del virus. Ora anche l’Università di Harvard ha cercato di indagare su questo eventuale legame.
Si è discusso e si sta discutendo molto sulla correlazione tra inquinamento, polveri sottili e coronavirus. Più che altro fa riflettere e interrogare la cartina dei contagi che in tutto il mondo, da Wuhan alla pianura padana a New York, quasi ricalca quella delle zone più inquinate. Al momento comunque vi sono solo ipotesi.
Lo studio dell’Università di Harvard
Il nuovo studio, condotto dai ricercatori della Chan School of Public Health, avrebbe scoperto che le persone che vivono in aree dove i livelli di inquinamento atmosferico sono elevati hanno maggiori probabilità di morire a causa del Covid-19 rispetto a coloro che risiedono in aree meno inquinante. In altre parole, livelli più elevati di PM 2.5, sono stati associati a una letalità più elevata a causa del Covid-19.
Per settimane, i funzionari della sanità pubblica hanno ipotizzato un legame tra aria inquinata e morte o gravi malattie legate al Covid-19. L’analisi di Harvard è il primo studio a livello nazionale a mostrare un collegamento statistico, rivelando una “grande sovrapposizione” tra decessi Covid-19 e altre malattie associate all’esposizione a lungo termine alle polveri sottili.
“I risultati di questo documento suggeriscono che l’esposizione a lungo termine all’inquinamento atmosferico aumenta la vulnerabilità al verificarsi dei più gravi risultati di Covid-19”, hanno scritto gli autori.
Secondo gli scienziati del governo americano, il coronavirus potrebbe uccidere tra 100.000 e 240.000 cittadini Usa. Scopo della nuova ricerca era quello di capire se l’esposizione a lungo termine al particolato fine (PM2,5) aumentasse il rischio di decessi COVID-19 negli Stati Uniti. Per dimostrarlo, i ricercatori hanno raccolto i dati in oltre 3.000 contee negli Stati Uniti coinvolgendo il 98% della popolazione, fino al 4 aprile 2020. L’analisi ha preso in esame il numero di cittadini, i posti letto in ospedale, il numero di individui testati, le condizioni meteorologiche e altre variabili socioeconomiche e comportamentali inclusi obesità e fumo.
“Abbiamo scoperto che un aumento di solo 1 μg / m3 nel PM2.5 è associato ad un aumento del 15% del tasso di mortalità COVID-19” si legge nello studio.
Secondo gli scienziati di Harvard anche un piccolo aumento dell’esposizione a lungo termine al PM2.5 porterebbe a un grande aumento del tasso di mortalità COVID-19, con l’entità di un aumento di 20 volte rispetto a PM2,5 e alla mortalità per tutte le cause.
Ad esempio, se Manhattan avesse abbassato il suo livello medio di particolato di una sola unità, o di un microgrammo per metro cubo negli ultimi 20 anni, il distretto avrebbe avuto probabilmente 248 morti in meno per Covid-19.
“I risultati dello studio sottolineano l’importanza di continuare a far rispettare le vigenti normative sull’inquinamento atmosferico per proteggere la salute umana sia durante che dopo la crisi COVID-19” spiegano.
Il documento è stato sottoposto a revisione e pubblicazione sul New England Journal of Medicine.
La scoperta fa quasi sorridere se si pensa che il governo americano da poco ha dato il via libera alle aziende di violare le leggi sull’inquinamento in questa fase di emergenza.
Lo studio italiano condotto in Pianura Padana
Anche un recente studio italiano, condotto dai ricercatori dell’Università di Siena e della Aarhus University, ha cercato di indagare la possibile correlazione tra l’alto livello di letalità della sindrome respiratoria acuta del coronavirus e l’inquinamento atmosferico nel Nord Italia basandosi sul presupposto che la Lombardia e l’Emilia Romagna sono le regioni italiane con il più alto livello di letalità del virus al mondo e anche una delle aree più inquinate d’Europa.
La domanda a cui anche i ricercatori italiani hanno cercato di rispondere è: le comunità che vivono in aree inquinate come la Lombardia e l’Emilia Romagna sono più predisposte a morire di Covid-19?
Sulla base delle loro scoperte, essi sosterrebbero che l’inquinamento potrebbe compromettere la prima linea di difesa delle vie aeree superiori, quindi un soggetto che vive in un’area con alti livelli di inquinanti sarebbe più incline a sviluppare condizioni respiratorie croniche e adatte a qualsiasi agente infettivo. Inoltre, a loro avviso, un’esposizione prolungata all’inquinamento atmosferico porta a uno stimolo infiammatorio cronico anche in soggetti giovani e sani.
Fonti di riferimento: sciencedirect, Università di Harvard, NYTimes, Medrxiv
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