Un insieme di comportamenti che spesso vengono perpetrati durante l’assistenza al parto e che l’Oms nel 2014 ha già classificato come “abuso e mancanza di rispetto”. Non dimentichiamoci dell’esistenza di un aspetto subdolo, quello della “violenza ostetrica”
Una subdola umiliazione verbale, frasi offensive, carenza di assistenza o ipermedicalizzazione, violazione della privacy, mancato ascolto della donna: una gamma di condotte terribili che identificano forme di violenza fisica o psicologica all’interno di una sala parto. È la cosiddetta “violenza ostetrica” ed è molto più frequente di quanto si voglia pensare, tanto che recenti indagini parlando di 4 mamme su 10 che dichiarano di aver subito “azioni lesive della dignità personale”.
Sono i dati che emergono da una ricerca nazionale realizzata dalla Doxa nel 2017 per conto dell’Osservatorio sulla Violenza Ostetrica in Italia, da cui emerse che il 21% delle mamme italiane con figli di 0-14 anni ha dichiarato di aver subito un maltrattamento fisico o verbale durante il primo parto.
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Lo studio prese in esame un campione di circa 5 milioni di donne italiane, tra i 18 e i 54, con almeno un figlio di età compresa tra 0 e 14 anni, e i diversi aspetti che possono riguardare le fasi del travaglio e del parto, come il rapporto con gli operatori sanitari, il rispetto della dignità personale, il tipo di trattamenti praticati, la comunicazione usata dallo staff medico e il ruolo della partoriente nelle decisioni sul parto.
Cos’è la violenza ostetrica
Vanno sotto l’accezione di violenza ostetrica:
- l’abuso fisico, verbale e psicologico
- la mancanza di consenso informato e di privacy
- il ricorso a procedure eccessive e dolorose senza che venga fornita un’adeguata terapia del dolore
Proprio alcune di queste procedure sono state individuate e sconsigliate dall’Organizzazione mondiale della sanità: è il caso della episiotomia, per esempio, che consiste nella incisione del perineo, o della manovra Kristeller, una forte pressione del fondo uterino che in molti praticano durante le contrazioni della puerpera. Altre si riconducono a un’eccessiva medicalizzazione della nascita, come l’utilizzo di ossitocina sintetica (un ormone somministrato per indurre il parto) e il ricorso al parto cesareo quando non necessario.
È possibile poi che queste pratiche accompagnino violenze meno percettibili, come gli abusi verbali e le umiliazioni (e ciò accade specialmente nei confronti di donne appartenenti a minoranze), il divieto di scegliere la posizione del parto o di avere con sé in sala una persona di fiducia, situazioni di totale mancanza di riservatezza, privazione di cibo e acqua, impossibilità di tenere il bambino nella propria camera subito dopo la nascita.
Nel 2014, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) ha pubblicato una Dichiarazione per la prevenzione ed eliminazione dell’abuso e della mancanza di rispetto durante l’assistenza al parto presso le strutture ospedaliere, in cui vengono elencati i tipi di trattamenti “irrispettosi e abusanti” nei confronti delle donne durante il parto. Nel 2018, le Raccomandazioni dell’Oms sull’assistenza per «un’esperienza di parto positiva» hanno fornito delle linee guida ai Paesi della comunità internazionale basate sulla tutela e sul rispetto dei diritti umani.
Nello specifico, l’OMS afferma che, in assenza di una precisa indicazione medica, sono da evitare:
- il clistere
- la depilazione
- la rottura delle membrane
- la posizione obbligata durante travaglio e parto
- il digiuno e il divieto di bere
- l’episiotomia (il taglio del perineo)
- le spinte sulla pancia (manovra di Kristeller)
- il taglio precoce del cordone e la separazione della madre e del neonato dopo il parto.
Il Cedap del 2018 (Certificato di assistenza al parto), inoltre, ossia il rapporto pubblicato periodicamente dal Ministero della salute, descrive un’eccessiva medicalizzazione dei parti negli ultimi decenni. I tagli cesarei, per esempio, sono passati dal 10% dei primi anni ’80 al 32,3% del 2018.
Umiliazione e violenza ostetrica, cosa fare?
Innanzitutto informare e informarsi e imparare a riconoscere i maltrattamenti come tali: tutte quelle procedure, più parole sconveniente, quando non sussiste una chiara indicazione medica, sono una medicalizzazione inutile e dolorosa, che può anche essere dannosa per la madre e per il neonato.
Qui in Italia sono ancora poche le tutele per contrastare la violenza ostetrica. Nel 2010 ci fu un Accordo Stato-Regioni per la riduzione del taglio cesareo, così come nel 2016 il disegno di legge Zaccagnini intendeva far riconoscere la violenza ostetrica reato (ma è rimasto una proposta di legge mai approvata), o l’istituzione del Comitato Percorso Nascita Nazionale nel 2018.
A livello territoriale qualche passo in avanti è stato fatto: in Emilia-Romagna è nato il sito “Nascere in Emilia-Romagna”, per dare tutte le informazioni necessarie per una scelta consapevole sul luogo del parto (ospedale, domicilio o casa di maternità) o in Trentino c’è il “percorso nascita“ prevede la tempestiva presa in carico della partoriente da parte di un’ostetrica dedicata, che seguirà la gravidanza fino ad anche otto settimane dopo il parto.
Tutto ciò non può prescindere, infine, da una adeguata formazione del personale sanitario a un’assistenza al parto rispettosa ed empatica.
Perché è quella che serve, soltanto quella: l’empatia. Per fare in modo che di un evento così delicato e travolgente come il parto rimanga solo un piacevole ricordo.
Per fortuna sono tanti i professionisti e le professionisti che sanno metterla in campo. Ma c’è ancora tanto lavoro da fare.
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