Tumori: conosci il paradosso di Peto, l’enigma biologico sulla formazione del cancro

Secondo il paradosso di Peto le dimensioni e la longevità delle specie potrebbero incidere sul rischio di cancro

Secondo il paradosso di Peto le dimensioni e la longevità delle specie potrebbero incidere sul rischio di cancro

Il cancro è ancora tra le malattie più aggressive al mondo, che ogni anno colpisce milioni di persone nonostante i progressi della ricerca scientifica. Questa patologia attacca le cellule del nostro corpo, e più cellule ha un determinato essere vivente e più a lungo vive, maggiori sono le probabilità di accumulare mutazioni cellulari dannose che possono portare al cancro.

Tuttavia, vi sono tanti animali con enormi popolazioni cellulari, inclusi elefanti e balene, che non solo sopravvivono fino alla vecchiaia, ma hanno tassi di cancro notevolmente bassi. Questo enigma biologico porta il nome di paradosso di Peto. In breve, il paradosso dice che le dimensioni e la longevità delle specie dovrebbero essere proporzionali all’incidenza del cancro, ma i dati del mondo reale tra le specie suggeriscono che questa associazione non regge.

Lo studio

Un nuovo studio ha esplorato le recenti implicazioni del paradosso di Peto e ha evidenziato ciò che la scienza sta imparando sul cancro attraverso l’albero della vita. I ricercatori hanno analizzato il più grande database di specie incrociate del suo genere: un pool di mammiferi adulti provenienti dai registri dello zoo, che include 110.148 individui che abbracciano 191 specie. 

L’obiettivo era valutare i tassi di mortalità per cancro specie-specifici in un vasto assortimento di mammiferi, riesaminare le affermazioni del paradosso di Peto in modo rigorosamente quantitativo, ed esplorare possibili meccanismi di soppressione del tumore rilevanti per combattere la malattia sia nell’uomo sia negli animali.

Lo studio fornisce la valutazione più approfondita del paradosso di Peto fino ad oggi. I risultati offrono la prova conclusiva che il rischio di mortalità per cancro è in gran parte indipendente dalla massa corporea, e dall’aspettativa di vita adulta tra le specie. La soluzione al paradosso, sta nel fatto che l’evoluzione di una maggiore dimensione e longevità nelle specie è stata accompagnata dalla coevoluzione di potenti meccanismi di resistenza al cancro.

La lotta contro il cancro ha registrato alcune vittorie recenti: infatti, secondo l’American Cancer Society, le statistiche annuali per il 2020 rivelano il più grande calo in un anno della mortalità per cancro mai registrato. Eppure, nonostante i significativi progressi nella diagnosi e nel trattamento, la malattia rimane una delle principali cause di morte.

Lo sviluppo della malattia non è limitata agli umani; in effetti, il nuovo studio riporta un carico di cancro significativo tra alcune specie di mammiferi, dove il numero di morti nella popolazione adulta può raggiungere il 20-40%. Inoltre, la malattia è difficilmente democratica nella selezione delle sue vittime, poiché, alcune specie hanno tassi di cancro significativamente più alti o più bassi, per ragioni che i ricercatori stanno cercando di analizzare.

Il nuovo studio esplora alcune delle cause, inclusa la dieta. Si è scoperto che la disparità è strettamente associata all’alimentazione, con i più alti tassi di cancro riscontrati nei mammiferi che consumano altri mammiferi, sebbene anche altri fattori svolgano un ruolo importante. Tra questi vi sono le mutazioni cellulari, che possono verificarsi quando i meccanismi di copiatura del DNA non riescono a duplicare fedelmente il codice genetico. Anche fattori ambientali, come le radiazioni, possono danneggiare l’integrità del DNA, portando a mutazioni. La maggior parte di queste non ha alcun effetto percettibile sulla salute di un organismo; alcuni, tuttavia, innescano una devastante reazione a catena, che porta al cancro.

Un altro fattore chiave è l’accumulo di mutazioni nel tempo, con l’età che rappresenta un fattore di rischio chiave per il cancro. La tendenza è facilmente osservabile in una varietà di specie, inclusi cani e umani. Ma mentre questa regola si applica all’interno di una determinata specie, i ricercatori vedono qualcosa di molto diverso quando si esaminano un’ampia gamma di specie diverse, in cui gli animali grandi vivono a lungo con bassi tassi di cancro.

Questa apparente contraddizione è stata espressa per la prima volta dall’epidemiologo Richard Peto. Quest’ultimo ha studiato i tassi di cancro negli esseri umani e nei topi, trovando l’incidenza del cancro nelle due specie approssimativamente equivalente. Dato che gli esseri umani hanno circa 1000 volte più cellule dei topi e vivono 30 volte più a lungo, questo presenta un enigma. Ancora più sorprendente è l’osservazione che animali selvatici, grandi e longevi, non sembrano mostrare una propensione nettamente maggiore al cancro.

Sebbene le intuizioni fondamentali del paradosso di Peto siano state a lungo riconosciute, la conferma scientifica è stata impegnativa. Fino ad ora, i dati disponibili in termini di dimensione del campione, distribuzione per età, parentela tra specie e cause di mortalità sono stati insufficienti per trarre conclusioni definitive. L’attuale studio, invece, si avvale di un ampio set di dati noto come Zoological Information Management System (ZIMS), che raccoglie informazioni dettagliate su età, sesso, stato e dati patologici post mortem per mammiferi adulti non addomesticati. 

Nell’indagine tra i carnivori dello zoo è stato osservato un alto rischio di cancro. Ciò può essere dovuto all’uso di progestinici e altre forme di contraccezione ormonale, nonché al rinvio della gravidanza negli animali da zoo. Entrambi i fattori sono stati collegati allo sviluppo di tumori umani, così come nei gatti non domestici. Eppure i ricercatori hanno stabilito che le pratiche contraccettive non possono spiegare appieno l’aumento del rischio di cancro tra i carnivori; piuttosto, un fattore determinante sembra essere la dieta.

I carnivori in genere consumano una dieta ricca di grassi e povera di fibre, che è un noto fattore di rischio. Inoltre, il consumo di carne può esporre i carnivori a vari agenti patogeni, che sono stati collegati ai processi di formazione dei tumori. I virus, in particolare, possono presentare un notevole rischio di cancro, con il 10-20% di tutti i tumori che si ritiene abbiano un’origine virale.

Un’ulteriore analisi dei dati dello zoo, ha mostrato che tra i carnivori, quelli che consumavano altri vertebrati come parte regolare della loro dieta avevano i più alti tassi di cancro, rispetto ai carnivori che raramente o mai consumano altri mammiferi.  Altri fattori includono la bassa diversità del microbioma, il grado di esercizio fisico in cattività o altri fattori fisiologici. A differenza dei carnivori, è stato scoperto che i ruminanti hanno il rischio di cancro più basso tra i mammiferi.

I risultati dello studio confermano i presupposti centrali del paradosso di Peto: i dati non mostrano alcuna associazione significativa tra il rischio di mortalità per cancro e la massa corporea, suggerendo che la selezione naturale dei meccanismi di resistenza al cancro negli animali di grossa taglia è ciò che riduce notevolmente il loro rischio di cancerogenesi. Lo studio fornisce, quindi, la base per ulteriori ricerche in questo settore e mette in evidenza il potere dei dati zoologici per la futura ricerca sul cancro.

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Fonte: Nature

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