Ben l’80% delle 54mila donne che in un anno in Italia si ammalano di cancro al seno possono seguire soltanto una terapia ormonale.
Tumore alla mammella: è sempre necessaria la chemioterapia post-operatoria? Non proprio, anzi: ben l’80% delle 54mila donne che in un anno in Italia si ammalano di cancro al seno possono seguire soltanto una terapia ormonale. È tutta questione di genetica, ma per scoprirlo sono utili degli esami non sempre accessibili a tutte.
Sono i cosiddetti test genomici, che consentono di identificare le pazienti per le quali la chemioterapia risulta inappropriata, evitando così tossicità non necessarie e risparmiando risorse. Ma perché li facciano tutte dovrebbero essere quanto meno rimborsati a livello nazionale e inseriti nei Livelli Essenziali di Assistenza.
Leggi anche: Dieta vegana e mima-digiuno ruolo chiave contro il tumore al seno: lo studio italiano
Grazie infatti all’utilizzo di un test (Oncotype Dx), che analizza il profilo molecolare del tumore in questione, è possibile selezionare quelle pazienti che possono evitare la chemioterapia.
Ma ad oggi questo tipo di test è rimborsabile solo in Lombardia, Toscana e Provincia autonoma di Bolzano e questo, afferma il presidente della Fondazione Insieme contro il cancro Francesco Cognetti, “rappresenta una inaccettabile discriminazione. Il fondo di 20 milioni (previsto dalla Legge di Bilancio 2021, ndr) è un risultato molto importante ma è necessario ora un decreto attuativo da parte del Ministero della Salute per sbloccare questi soldi. Garantire subito l’accesso ai test genomici su tutto il territorio è una battaglia di civiltà“.
Dal 2015 a oggi, si stima una riduzione di morti per tumore della mammella superiore al 6% (-6,4%). Quella al seno rimane la neoplasia più frequente nel nostro Paese (54.976 casi nel 2020), ma i programmi di screening, che consentono di individuare la malattia in fase iniziale, e terapie sempre più efficaci, hanno consentito una vera rivoluzione: oggi in Italia vivono più di 834mila donne dopo la diagnosi, con una sopravvivenza a 5 anni che raggiunge l’87%.
I test genomici, in alcune tipologie di pazienti colpite da cancro del seno, consentono di prevedere il rischio di recidiva e, quindi, di escludere la chemioterapia in aggiunta all’ormonoterapia dopo l’intervento chirurgico.
Cos’è il test genomico e la differenza con altri test
I test genomici, come l’Oncotype DX, si occupa di gruppi di geni e del loro livello di attività. Questa attività può influenzare il modo in cui è probabile che il tumore si sviluppi e risponda al trattamento. Questo tipo di test non fornisce informazioni sul patrimonio genetico ereditario della persona, ma considera gruppi genici per comprendere come interagiscono e come possono influenzare il comportamento del tumore.
Esistono poi test genetici per i carcinomi mammari per il gene BRCA1 e per il gene BRCA2, che normalmente aiutano a controllare la crescita cellulare. Ma questi sono diversi dal test per il tumore invasivo della mammella Oncotype DX che è un test genomico e servono a vedere se c’è la predisposizione a certi tipi di malattie.
Come sottolinea Cognetti, nel mondo “14 studi clinici hanno dimostrato la validità dei test su un totale di circa 800mila donne trattate a seguito dei risultati dell’esame; di queste, il 40% ha potuto evitare la chemio“. Le sperimentazioni dimostrano cioè che “la maggior parte delle pazienti con tumore al seno in stadio precoce può evitare la chemio. In particolare, un test genomico a 21 geni è in grado di identificare la quota di donne (pari al 20%) che può trarre un reale beneficio dalla chemio e che non sarebbe stata selezionata con i sistemi tradizionali e la percentuale maggioritaria (80%) che, nel complesso, non ottiene beneficio. Possiamo, quindi, stimare circa quattro trattamenti chemioterapici evitati ogni cinque test genomici eseguiti“.
La direzione, quindi, che dovrebbe prendere il governo? Quella di un approccio “prudenziale” e garantire i test a tutte le donne per le quali sussiste un dubbio rispetto all’utilità della chemioterapia.