Scoperto nuovo effetto collaterale della plastica che usiamo ogni giorno sui neonati (e ha a che fare con gli ftalati)

L’esposizione alle tossine durante la gravidanza aumenterebbe il rischio di parti pretermine e di minor peso alla nascita.

Per decenni è stato dimostrato che le sostanze chimiche, chiamate ftalati, interferiscono con la funzione di alcuni ormoni o composti di segnalazione che circolano nel sangue e guidano gran parte dei processi del corpo.

L’esposizione a queste tossine, che si ritiene avvenga quando i prodotti di consumo si decompongono e vengono ingeriti, è stata collegata all’obesità, al cancro e a problemi di fertilità, oltre a molti altri problemi di salute.

Uno studio recente suggerisce che il contatto regolare con le sostanze chimiche presenti negli imballaggi in plastica degli alimenti e in numerosi prodotti cosmetici potrebbe essere collegato a circa 56.600 nascite premature verificatesi nel corso del 2018.

Lo studio

Guidata dai ricercatori della NYU Grossman School of Medicine, la nuova analisi sull’esposizione agli ftalati in più di 5.000 madri l’ha collegata specificamente all’aumento del rischio di minor peso alla nascita.

È noto che questo fattore di rischio, aumenta almeno moderatamente il rischio di morte infantile, interferisce con il rendimento scolastico e può potenzialmente contribuire alle malattie cardiache e al diabete. Secondo i loro risultati, circa il 10% di tutte le nascite premature avvenute nel 2018 potrebbero essere collegate alle sostanze chimiche.

Per la ricerca, il team ha analizzato i dati del programma Environmental Influences on Childhood Health Outcomes (ECHO), un’iniziativa del National Institutes of Health per comprendere meglio gli effetti di un’ampia gamma di fattori ambientali, sociali ed economici sulla salute dei bambini.

Le informazioni, che spaziavano dall’accesso al cibo e dall’impatto del razzismo e della disuguaglianza di reddito all’esposizione alle tossine, hanno permesso ai ricercatori di tenere conto e separare i fattori demografici, oltre agli ftalati, che potrebbero influenzare la nascita pretermine.

Per valutare l’esposizione prenatale agli ftalati, i ricercatori hanno misurato i livelli di 20 diversi metaboliti (i componenti in cui le sostanze chimiche si scompongono all’interno del corpo) nei campioni di urina raccolti in tre punti durante la gravidanza.

Quindi, il team ha cercato associazioni tra questi livelli di metaboliti e le nascite premature. Successivamente, ha stimato i costi monetari risultanti dai ricoveri in unità di terapia intensiva e da altre spese mediche correlate, e la perdita di produttività dei lavoratori nel corso della vita a causa di punti di QI bassi.

Oltre a esaminare l’esposizione complessiva alle tossine, gli autori hanno anche cercato distinzioni tra specifici ftalati. In particolare, hanno confrontato il di-2-etilesil ftalato (DEHP), una sostanza chimica utilizzata da tempo per rendere la plastica più flessibile, con diversi sostituti più recenti del DEHP.

Secondo i risultati, raggruppando le madri in base alla quantità di metaboliti DEHP nelle urine, il 10% con i livelli più alti aveva un rischio aumentato del 50% di partorire prima della 37a settimana di gravidanza rispetto al 10% con i livelli più bassi.

Nel frattempo, il rischio di parto pretermine era raddoppiato per le donne esposte alle quantità più elevate di tre comuni alternative al DEHP, ossia di-isodecile ftalato (DIDP), di-n-ottilftalato (DnOP) e diisononilftalato (DiNP), rispetto a quelle che hanno avuto poca o nessuna esposizione.

Sono necessarie ulteriori ricerche, poiché gli autori intendono espandere la loro analisi ed esaminare in primo luogo gli effetti sulla salute della prevenzione dell’esposizione agli ftalati.

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Fonte: The Lancet

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