Diabete: la scoperta rivoluzionaria che ha acceso nuove speranze nella cura della malattia

Una recente ricerca ha individuato nuove e importanti strategie terapeutiche per curare i pazienti con diabete di tipo 1 e diabete di tipo 2, grazie a un enzima chiave nella sintesi di una nuova classe di lipidi

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità circa 422 milioni di persone nel mondo hanno il diabete, e 1,5 milioni di decessi sono direttamente attribuiti al diabete ogni anno.

Il diabete di tipo 1 è una condizione cronica in cui le cellule produttrici di insulina nel pancreas vengono danneggiate e non producono più insulina.

Il diabete di tipo 2 si verifica quando il corpo diventa resistente o insensibile all’insulina. Entrambe le versioni della malattia provocano livelli elevati di glucosio nel sangue, che possono portare nel tempo a gravi danni al cuore, ai vasi sanguigni, agli occhi, ai reni e ai nervi se non controllati dal trattamento.

Sono stati sviluppati farmaci e dispositivi salvavita per i pazienti con diabete, ma molte persone continuano a lottare con uno scarso controllo della glicemia, che li espone ad alto rischio di complicanze.

Ora, gli endocrinologi del Beth Israel Deaconess Medical Center (BIDMC) hanno identificato un enzima chiave nella sintesi di una nuova classe di lipidi chiamati FAHFA, che sono prodotti nei tessuti umani e hanno effetti benefici sulla sensibilità all’insulina, sulla glicemia e altri parametri correlati al metabolismo.

La scoperta, pubblicata su Nature, apre le porte a potenziali nuovi trattamenti per il diabete di tipo 1 e 2.

I ricercatori hanno dimostrato che questi lipidi FAHFA proteggono le cellule beta dall’attacco immunitario e dallo stress metabolico. Se si possono aumentare i livelli di FAHFA, ciò potrebbe essere utile sia per il diabete di tipo 1 sia per il diabete di tipo 2.

Nell’uomo, i livelli di FAHFA sono legati alla sensibilità all’insulina. I FAHFA, inoltre, migliorano il controllo della glicemia e riducono le risposte immunitarie pro infiammatorie che si traducono in una minore incidenza di diabete di tipo 1.

La scoperta potrebbe in definitiva aprire la strada a nuove strategie terapeutiche per le persone con entrambe le forme di diabete.

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Fonte: Nature

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