Per la prima volta l’OMS avvia percorso di revisione della proibizione di cannabis.
Revisione della proibizione di cannabis: l’Organizzazione mondiale della Sanità annuncia di voler rivalutare scientificamente gli effetti della marijuana, profilando così la possibilità di depennarla dalla lista stilata sulle droghe.
Ad annunciarlo è Marco Perduca, ex-senatore radicale e portavoce dell’Associazione Luca Coscioni, presente nei giorni scorsi a Ginevra durante la sessione aperta della Commissione di Esperti sulle Dipendenze da Droga dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che, quindi, per la prima volta nella storia delle Nazioni unite informa di avviare una revisione delle proprietà terapeutiche della cannabis.
Un dibattito, quello sulla legalizzazione della cannabis, che fa parte di un vero processo evolutivo di cui l’Oms si sta rendendo protagonista, adattandosi ai cambiamenti storici della società. Ne è esempio la nuova Classificazione (ICD-11) pubblicata in questi giorni, che non considera più “disordine mentale” l’incongruenza di genere (“transessualità”) e che, di contro, annovera la dipendenza da videogiochi tra le patologie della mente.
Così, mentre il Canada legalizza definitivamente la marijuana, oggi l’Oms, a 70 anni dalla sua fondazione, avvia finalmente un processo di revisione critica, volta, cioè, non solo allo studio, ma anche alla formulazione di raccomandazioni operative.
Dal ‘61 la cannabis è una pianta interdetta ai fini della ricerca scientifica e uso terapeutico, come eroina e cocaina. Dall’inizio degli anni ’70, i suoi prodotti possono essere utilizzati molto raramente per fini terapeutici, ma intanto, soprattutto negli ultimi 20 anni, c’è stato un boom di ricerche sulla produzione di cannabis a fini terapeutici, dove gli effetti avversi sono una percentuale irrisoria rispetto ai benefici che l’uso di questa pianta e dei suoi derivati comporta. Nel corso del tempo, poi, gli Stati europei hanno ammorbidito le proprie leggi e consentito la prescrizione di cannabinoidi terapeutici.
Ad oggi, la cannabis è inserita nella Tabella I (altamente additiva e soggetta ad abuso) e nella Tabella IV (sostanze incluse nella Tabella I raramente utilizzate nella pratica medica) della Convenzione Unica sugli stupefacenti del 1961.
Un incrocio che complica, come precisano dalla Associazione Coscioni – che intende rimarcare una volta per tutte la scarsità di studi per comprovare le proprietà terapeutiche della cannabis -, la ricerca sui componenti attivi della pianta a causa delle difficoltà amministrative che gli scienziati incontrano per avere accesso alle sostanze.
Attualmente, dato il diffuso uso medico, l’inclusione nella tabella IV risulta meno giustificabile di 57 anni fa e le definizioni ambigue delle sostanze legate alla cannabis e messe sotto il controllo internazionale, oltre che la classificazione delle sue infiorescenze, resine ed estratti come “stupefacenti” e i suoi composti attivi come “sostanze psicotrope”. sono state “condannate” in passato dal Comitato di esperti dell’Oms e anche dalla giunta internazionale sugli stupefacenti.
“E se il mondo ricco può usare terapie a base di cannabis – dice Perduca – non si capisce perché i paesi vittime del proibizionismo Occidentale non possano coltivare la cannabis, spesso pianta tradizionale, e aiutare i propri cittadini proprio come quelli dei Paesi che, dal dopoguerra a oggi, han imposto leggi draconiane contro produzione e uso terapeutico della pianta medica”.
Solo per citare alcuni dati, è quasi impossibile che si possa verificare un’overdose da THC, perché una persona di 70 kili, per esempio, avrebbe bisogno di consumare circa 4 grammi di THC, l’equivalente di 260 spinelli contemporaneamente, per avere un’overdose. Il THC può provocare “disorganizzazione concettuale, pensiero frammentato, sospettosità, delusioni paranoiche e grandiose e distorsioni percettive”, ma tutte temporanee. Si stima, inoltre, che a livello mondiale siano 183 milioni gli adulti che hanno fatto uso di cannabis nel 2015. La pianta è cresciuta in 135 paesi ed è la “droga” più prodotta al mondo” e, quanto all’aspetto terapeutico, molti studi hanno oramai assodato che la percentuale irrisoria di effetti avversi rispetto ai benefici che l’uso di questa pianta e dei suoi derivati comporta.
Non rimane altro, dunque, che l’Onu si ponga di fronte alla necessità di bilanciare quel famoso “principio di precauzione” proibizionista con le innovazioni tecno-scientifiche ormai fatte proprie dal mondo della ricerca e arrivi presto a una raccomandazione finale.
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