Dal nuovo rapporto dell'OCSE emerge che in Italia la resistenza agli antibiotici è un problema grave, con un'infezione su tre che non risponde ai farmaci. Questa situazione mette in evidenza l'urgente necessità di affrontare il problema che ha anche implicazioni ambientali
La resistenza agli antibiotici (AMR) da parte di batteri che, nel tempo e a causa di una serie di pratiche scorrette, sono riusciti a diventare più forti dei farmaci, continua a preoccupare ed è una delle sfide più significative per la salute globale.
Nonostante gli sforzi congiunti da parte dei paesi dell’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) e dell’UE/SEE (Unione Europea / Spazio Economico Europeo) per affrontare questo problema, le previsioni rimangono allarmanti.
Senza ulteriori e immediate misure efficaci, i tassi di resistenza antimicrobica potrebbero crescere in modo esponenziale nei prossimi tre decenni, portando gravi rischi per la popolazione e costi che supereranno quelli sostenuti durante la pandemia di COVID-19.
Il nuovo rapporto, basato su tecniche di microsimulazione e apprendimento automatico, analizza anche i sistemi per affrontare la resistenza antimicrobica, ponendo l’accento su un approccio fondamentale: il One Health, un quadro collaborativo, transdisciplinare e multisettoriale che promuove una stretta cooperazione tra salute umana, salute animale, sistemi agroalimentari ed ambiente.
Questa strategia si rende necessaria in quanto i numeri dell’antibiotico resistenza sono molto preoccupanti.
I numeri dell’antibiotico resistenza in Italia
Dai dati presentati nel rapporto, emerge uno scenario drammatico: 1 caso su 5 di infezione batterica nei paesi dell’OCSE non risponde agli antibiotici, e in Italia questa proporzione si eleva addirittura a 1 su 3.
Di conseguenza – ma non è una novità – la resistenza agli antibiotici è diventata una minaccia per la vita umana.
Questi numeri si traducono in cifre impressionanti: ogni anno, circa 79.000 persone perdono la vita a causa dell’inefficacia degli antibiotici, più del doppio dei decessi combinati dovuti a tubercolosi, influenza ed HIV/AIDS.
L’Italia, in particolare, si trova tra i paesi con le statistiche peggiori con una media del 35,7% di batteri resistenti ai 12 antibiotici più importanti. I decessi per questa causa sono circa 6500 l’anno ma alcune statistiche sono anche peggiori.
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Solo alcune nazioni superano questa percentuale, tra queste India, Turchia, Grecia, Arabia Saudita, Indonesia, Romania, Messico, Cipro e Cina. Al contrario, Paesi come Danimarca e Norvegia mantengono una resistenza inferiore al 6%.
Parte della responsabilità di questa situazione in tutto il mondo la hanno alcune pratiche agricole e gli allevamenti intensivi.
L’uso di antibiotici per trattare malattie delle piante è stato approvato in molti Paesi e mentre alcune nazioni hanno regolamentato in modo da mantenere un uso limitato, in altre regioni la quantità di antimicrobici impiegata per combattere i parassiti delle piante è significativa.
La preoccupazione cresce ulteriormente quando si considera l’intersezione tra cambiamento climatico e malattie delle piante, poiché l’incremento della necessità di antibiotici potrebbe rendere tali agenti meno efficaci contro i batteri. L’uso concomitante di erbicidi e antibiotici potrebbe poi accelerare lo sviluppo della resistenza.
C’è infine da considerare che gran parte degli antibiotici ingeriti, sia da esseri umani che da animali (circa l’80% in quest’ultimo caso), arriva nei sistemi fognari, nel suolo, nei corsi d’acqua o nel letame. Questi composti possono aumentare la resistenza, contribuendo ulteriormente alla diffusione del problema.
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Fonte: OCSE
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