I Pfas alterano la funzione dell’utero interagendo con il progesterone e bloccano i meccanismi che regolano il ciclo mestruale, l’annidamento dell’embrione e il decorso della gravidanza. Come se non bastasse, alterano la regolarità del ciclo mestruale e ritardano la comparsa delle prime mestruazioni. Il nuovo studio dell’Università di Padova.
Gli Pfas compromettono il nostro sistema riproduttivo, in particolare nella donna: i pericolosi composti chimici che hanno contaminato le falde acquifere di diverse zone del Veneto alterano le attività di un ormone fondamentale per la gravidanza, il progesterone, e bloccano anche i meccanismi che regolano il ciclo mestruale ritardandone la comparsa di almeno sei mesi.
A dirlo è una ricerca di un gruppo di studiosi dell’Università di Padova coordinati da Carlo Foresta, svolta sulle ventenni che risiedono nell’area rossa del Veneto, quella più inquinata, presentata al 34esimo Convegno di medicina della riproduzione di Abano Terme.
Sugli Pfas, quindi, non c’è alcuna speranza: già accertato il modo in cui incidono sulla sfera della salute materno-infantile, è anche già nell’età fertile delle più giovani che provocano danni.
Lo studio
Il team padovano ha analizzato in cellule endometriali in vitro come gli Pfas interferiscano sull’attivazione dei geni endometriali da parte del progesterone. Dalle analisi è emerso che su più di 20mila geni analizzati, il progesterone normalmente ne attiva quasi 300, ma in presenza di Pfas 127 sono alterati e tra questi proprio quelli che preparano l’utero all’attecchimento dell’embrione.
Va da sé che la mancata attivazione di questi geni da parte del progesterone trasformi le importanti funzioni coinvolte nella regolazione del ciclo mestruale e nella capacità dell’endometrio di accogliere l’embrione e dunque possono comportare un ritardo nelle gravidanze, la poliabortività e la nascita pre-termine.
Le conseguenze cliniche di questi risultati “sono state peraltro confermate da un recente studio della Regione Veneto sugli esiti materni e neonatali, che ha riportato un incremento di edemi o ipertensioni e diabete nelle donne gravide, di nati con basso peso alla nascita, di anomalie congenite al sistema nervoso e di difetti congeniti al cuore nelle aree a maggiore esposizione a Pfas”, spiega Foresta.
Le mestruazioni arrivano più tardi
Da un’analisi dei questionari sulla salute riproduttiva ai quali hanno partecipato 115 ragazze ventenni residenti nell’area rossa veneta, confrontando le risposte con un gruppo di 1.504 giovani donne di pari età non esposte a questo inquinamento è emerso un significativo ritardo della prima mestruazione di almeno sei mesi e una maggior frequenza di alterazioni del ciclo mestruale con ritardi del 30% nelle esposte rispetto al 20% della media.
Alla luce di questi risultati, in futuro, concludono i ricercatori, ci si soffermerà sul meccanismo d’azione dei Pfas proprio sulla funzione endometriale.
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Germana Carillo