Con la stampa 3D tra poco si farà di tutto, dalla costruzione delle case al riciclo degli abiti. Ma questa tecnica potrebbe essere utilizzata anche per produrre cuori, reni e altri organi vitali. Un punto che solleva non poche perplessità. Ma oggi sono ancora troppe le persone la cui vita dipende da un trapianto
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Con la stampa 3D tra poco si farà di tutto, dalla costruzione delle case al riciclo degli abiti. Ma questa tecnica potrebbe essere utilizzata anche per produrre cuori, reni e altri organi vitali. Un punto che solleva non poche perplessità. Ma oggi sono ancora troppe le persone la cui vita dipende da un trapianto.
La stampa 3D potrebbe certamente mettere a disposizione dei medici un numero maggiore di organi rispetto a quello “offerto” dai donatori. Ma cosa comporta? A chiarire alcuni dubbi è stato il dottor Anthony Atala, direttore del Wake Forest Institute for Regenerative Medecine nonché esperto di fama mondiale nel campo.
La stampa 3D non può risolvere del tutto il problema della carenza di organi
Di certo può dare un grosso contributo ma non è la soluzione assoluta. “È semplicemente un modo per scalare i processi che utilizziamo per progettare organi in laboratorio. Il nostro team ha progettato con successo vesciche, cartilagini, pelle, vie urinarie e vagine che sono state impiantate nei pazienti. L’obiettivo è produrre strutture di organi come questi con la stampa 3D per rendere tale processo più preciso e riproducibile. L’obiettivo finale della medicina rigenerativa – a prescindere dal modo in cui gli organi sono progettati – è quello di contribuire a risolvere la carenza di donatori di organi” spiega Atala.
Addio rigetto
La stampa 3D permetterebbe di superare uno degli attuali limiti dei trapianti, il rigetto. La tecnica infatti produrrebbe organi che utilizzano le cellule del paziente stesso, evitandogli così anche il mix di farmaci anti-rigetto, ancora oggi necessari.
Come si “stampano” gli organi?
In primo luogo viene effettuata una biopsia dell’organo da sostituire. Da essa si prelevano alcune cellule con potenziale rigenerativo e poi moltiplicate. Esse vengono poi mischiate con un materiale liquido che fornisce ossigeno e altri nutrienti per mantenerle in vita. E poi arriva la stampa: questa miscela viene posta in una cartuccia che associata a un’altra riempita con un biomateriale, darà origine all’organo, costruendolo strato dopo strato. Processo qui semplificato ma che richiede una lunga progettazione al computer utilizzando le scansioni mediche del paziente.
Funziona ma oggi non per tutti gli organi
Attualmente gli scienziati sono riusciti a “stampare” tre categorie di organi: strutture piatte come la pelle, quelle tubolari come le vie urinarie e i vasi sanguigni e le strutture cave come la vescica. Ma per gli organi più complessi come rene, fegato e pancreas la strada da fare è ancora tanta. Addirittura decenni.
I mini organi sul chip
Un’applicazione più reale è quella del nuovo progetto che prevede di stampare mini organi (tra cui cuore, fegato, polmoni e vasi sanguigni) su un chip sia per valutare l’inquinamento che per testare nuovi farmaci in modo più accurato, evitando anche la sperimentazione sugli animali.
La stampa 3D applicata al corpo umano sembra ancora lontana.
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