Uno studio italiano molto importante e primo nel suo genere, condotto dall'Università della Campania Luigi Vanvitelli, ha rivelato la presenza di microplastiche nelle placche aterosclerotiche di alcuni pazienti, il che comporta un rischio almeno raddoppiato di infarti e ictus
Le microplastiche e le nanoplastiche, ormai onnipresenti nell’ambiente, si stanno configurando sempre più come un problema da affrontare seriamente e non solo per il loro impatto su mare e terra ma anche per i risvolti davvero inquietanti sulla salute umana.
Sempre più studi confermano la loro presenza nel nostro corpo ma anche la loro potenziale pericolosità. Vi abbiamo già parlato di una serie di ricerche scientifiche che hanno rilevato tracce di microplastiche in vari organi umani, compresa la placenta. Ora, una nuova ricerca italiana conferma i rischi legati alla presenza di queste microscopiche sostanze nel nostro corpo.
Lo studio, condotto dall’Università della Campania Luigi Vanvitelli e pubblicato oggi sulla prestigiosa rivista scientifica The New England Journal of Medicine, rivela per la prima volta la pericolosità delle microplastiche per il cuore.
La ricerca presenta in effetti dati sorprendenti: le microplastiche si trovano anche nelle placche aterosclerotiche, i depositi di grasso nelle arterie noti per essere pericolosi per la salute cardiaca.
Il problema è che le placche aterosclerotiche “contaminate” da micro- e nanoplastiche, prevalentemente a base di polietilene (PE) e policloruro di vinile (PVC), mostrano un’infiammazione superiore alla norma. Questo le rende più fragili e suscettibili di rottura, aumentando il rischio di infarti, ictus e mortalità rispetto alle placche senza presenza di plastica.
Per arrivare ad affermare questo, lo studio ha coinvolto 257 pazienti di età superiore ai 65 anni, sottoposti a endoarterectomia per stenosi carotidea asintomatica. Durante questa procedura chirurgica, sono state rimosse placche aterosclerotiche, successivamente analizzate al microscopio elettronico per rilevare la presenza di micro- e nanoplastiche. I risultati indicano che il 58.4% delle placche conteneva polietilene, mentre il 12.5% conteneva policloruro di vinile.
I tipi di plastica trovati sono insomma quelli più comunemente usati: polietilene, utile a realizzare sacchetti e bottiglie di plastica, e cloruro di polivinile, utilizzato in tubi, isolamenti e dispositivi medici.
Ma quali sono i rischi di avere microplastiche nelle placche aterosclerotiche?
Il follow-up dei partecipanti, seguiti per circa 34 mesi, ha rivelato che coloro che avevano i vasi sanguigni “contaminati” da microplastiche avevano un rischio di infarto, ictus e mortalità almeno raddioppiato rispetto a coloro che non presentavano plastica nelle arterie, indipendentemente da altri fattori di rischio cardio-cerebrovascolari.
Per essere più precisi, nel corso di circa tre anni, si è osservato che il 20% dei pazienti (30 su 150) con plastica rilevata nelle placche ha manifestato complicanze, rispetto al 7,5% dei pazienti (8 su 107) senza tracce di plastica nelle arterie.
Gli autori, come sempre in questi casi, sono cauti e hanno avvertito che lo studio non dimostra in modo definitivo che le microplastiche causino un maggior rischio di problemi al cuore, ma ha trovato un importante legame tra microplastiche e complicanze cardiovascolari che dovrebbe essere indagato in studi futuri.
Quanto scoperto apre la strada a ulteriori ricerche sull’impatto delle microplastiche sulla salute umana e sottolinea l’urgente necessità di limitare la produzione e l’uso di plastica per proteggere la salute del cuore (oltre che dell’ambiente).
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Fonte: The New England Journal of Medicine
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