La pandemia silenziosa: dai polli all’orso polare, l’influenza aviaria minaccia la salute globale

Negli Stati Uniti, una grande azienda produttrice di uova ha riportato la morte di 2 milioni di galline e pollastre a causa dell’influenza aviaria, mentre nel Texas una persona è risultata positiva all’influenza aviaria (si presume contraendo il virus da una vacca) facendo così registrare il primo caso conosciuto al mondo di contagio fra essere umano e mammifero

Continua a mutare il virus dell’influenza aviaria A(H5N1) e le migrazioni degli uccelli selvatici, anatre selvatiche in primis, non mettono serenità: con loro, infatti, i ceppi ad oggi in circolazione fuori dall’Europa potrebbero valicare i confini del nostro continente e trasportare varianti potenzialmente sempre più in grado di infettare i mammiferi.

Lo dice chiaro e tondo un rapporto dello European Centre for Disease Prevention and Control (Ecdc) e della European Food Safety Authority (Efsa), secondo cui c’è il rischio di una trasmissione su larga scala se il virus dovesse acquisire la capacità di diffondersi tra gli esseri umani.

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In tutto questo, allarmano le ultime notizie che arrivano dagli Stati Uniti, dove una grande azienda produttrice di uova comunica la morte di 2 milioni di galline e pollastre a causa proprio dell’influenza aviaria e in Texas una persona è risultata positiva all’influenza aviaria (si presume contraendo il virus da una vacca) e si tratterebbe del primo caso conosciuto al mondo di contagio fra essere umano e mammifero.

Le ultime notizie che arrivano dagli USA preoccupano, ma non sorprendono – dice Annamaria Pisapia, direttrice di CIWF Italia. Infatti, l’ultimo ceppo di influenza aviaria, sin da quando è emerso nel 2021, ha causato la morte di oltre mezzo miliardo di volatili allevati, si stima milioni di uccelli selvatici e anche una crescente varietà di mammiferi, destando serie preoccupazioni per la conservazione di molte specie. Proprio all’inizio di quest’anno si è diffusa la notizia della prima vittima accertata fra gli orsi polari.

Alla fine del 2023, infatti, l’Alaska Department of Environmental Conservation ha registrato per la prima volta un orso polare fra gli animali uccisi dall’influenza aviaria.

Nell’agosto 2023 Compassion in World Farming ha pubblicato un report per lanciare l’allarme sull’influenza aviaria e sulla minaccia costituita per la salute pubblica dagli allevamenti intensivi. Sono loro, infatti, che creano, infatti, le condizioni ideali per la diffusione della malattia – fornendo al virus un costante ricambio di ospiti e permettendo alle infezioni di diffondersi velocemente – e per la comparsa di nuovi ceppi altamente nocivi.

Dal 2021, oltre mezzo miliardo di volatili allevati a scopo alimentare sono morti o sono stati abbattuti a livello globale a causa dell’influenza aviaria. La maggior parte di essi erano polli broiler allevati per la loro carne, ammassati nei capannoni sovraffollati degli allevamenti intensivi, o galline allevate per la produzione di uova, rinchiuse in gabbie della dimensione di un foglio di carta A4.

Fino a pochi mesi fa, i casi di influenza aviaria fra le persone erano riconducibili a uno stretto contatto con pollame infetto o ambienti contaminati dal virus. Ora, per la prima volta, si parla di un contagio umano da mammifero. Più contagi di questa natura si ripeteranno, maggiore sarà il rischio che il virus evolva e acquisisca la capacità di diffondersi per contagio diretto fra le persone, conclude Pisapia.

E in Italia?

Il recente Decreto del Ministero della Salute sulla Biosicurezza in tema di influenza aviaria (GU n. 151 del 30/06/2023) che le Regioni sono tenute a recepire si è occupato essenzialmente di tutelare gli animali stabilendo le distanze tra gli allevamenti. Di fatto, però, nulla è stato deliberato a livello nazionale in merito a linee guida e normative per garantire la biosicurezza dei cittadini, definendo distanze appropriate tra allevamenti e nuclei abitati, strutture agrituristiche o case sparse di campagna.

L’assenza di normative nazionali riguardo alle distanze minime tra allevamenti avicoli e case circostanti o centri abitati rimane dunque un elemento critico a discapito del benessere e della salute dei cittadini – afferma il presidente Alessandro Miani di Sima. Auspichiamo che le Regioni comprendenti zone a rischio influenza aviaria attualmente in difetto di regolamenti specifici (tra queste Lazio, Marche, Umbria e Lombardia) si attivino urgentemente per introdurre leggi regionali volte a definire parametri di distanza più restrittivi in funzione del livello di rischio, della densità degli stabilimenti avicoli già presenti e delle caratteristiche territoriali, introducendo chiare indicazioni sulle distanze minime tra allevamenti avicoli e centri abitati in base a quanto riportato dalla letteratura scientifica (rischio chimico-fisico, biologico e sanitario associato, nonché soglie di inquinamento).

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