L’inquinamento aiuta il Coronavirus a diffondersi, per questo la nostra Pianura Padana è devastata: è lì che l’epidemia esplode e risulta devastante
L’inquinamento aiuta il Coronavirus a diffondersi, per questo la nostra Pianura Padana è devastata: è lì che l’epidemia esplode. Sono i risultati di uno studio condotto da Università di Bologna, Università di Bari e Società Italiana di Medicina Ambientale (SIMA).
Il particolato atmosferico “trasporta” il virus favorendone la diffusione, quindi è dove questo è alto che si registrano più contagi. I ricercatori hanno evidenziato come esista una correlazione tra la diffusione del temuto virus nella popolazione e particolato atmosferico: più questo supera il limite consentito più il numero di casi di COVID-19 aumenta.
Questo non significa che l’agente patogeno non possa essere contratto anche dove l’aria è meno inquinata, lo stiamo vedendo, ma le regioni più colpite sono anche quelle più inquinate. I dati, comunque ancora non definitivi, sembrano dire proprio questo.
Gli scienziati sono partiti da precedenti presupposti ed evidenze ottenuti da altre epidemie virali.
“È noto che il particolato atmosferico funziona da carrier, ovvero da vettore di trasporto, per molti contaminanti chimici e biologici, inclusi i virus – scrivono infatti gli autori – I virus si “attaccano” (con un processo di coagulazione) al particolato atmosferico, costituito da particelle solide e/o liquide in grado di rimanere in atmosfera anche per ore, giorni o settimane, e che possono diffondere ed essere trasportate anche per lunghe distanze”.
In particolare per il coronavirus, i ricercatori hanno analizzato i dati di concentrazione giornaliera di PM10 rilevati dalle Agenzie Regionali per la Protezione Ambientale (ARPA) di tutta Italia tra il 10 e il 29 Febbraio, registrando il numero di volte che il limite di legge (50 μg m-3) è stato superato, rapportato al numero di centraline attive per Provincia, e correlandolo ai dati sul numero di casi infetti da COVID-19 riportati sul sito della Protezione Civile.
La correlazione c’è ed è piuttosto evidente: quanto più viene superato il limite consentito di PM10 più il numero di casi di COVID-19 aumenta. E per l’Italia la situazione di inquinamento critica si registra particolarmente nella Pianura Padana, dove si registrano livelli di PM10 tra i più alti d’Europa (come già evidenziato in passato dalla European Environmental Agency) e un analogo triste primato per il PM2.5 (come mostrato dallo studio dell’Unicef ‘Clean the air for the children‘) e dove la situazione coronavirus è disastrosa.
Ma c’è di più.
“Le curve di espansione dell’infezione nelle regioni presentano andamenti perfettamente compatibili con i modelli epidemici, tipici di una trasmissione persona-persona per le regioni del sud Italia – continuano gli autori – mentre mostrano accelerazioni anomale proprio per quelle ubicate in Pianura Padana in cui i focolai risultano particolarmente virulenti e lasciano ragionevolmente ipotizzare ad una diffusione mediata da carrier ovvero da un veicolante“.
Quindi il contagio in Pianura Padana potrebbe essere stato “aiutato” dal particolato.
È solo un primo studio, fatto su dati ancora parziali, e altri fattori potrebbero entrare in gioco, ad esempio la capacità polmonare compromessa di chi respira aria inquinata (uno recente studio ha mostrato che i fumatori hanno una probabilità di finire in terapia intensiva più che doppia).
E non solo, alcune ricerche indicano che il virus potrebbe essere favorito da alcune condizioni di temperatura e umidità: secondo un gruppo di ricerca dell’Università del Maryland, in particolare, ci sarebbe una ‘cintura del coronavirus‘, una fascia climatica in cui questo è più resistente sulle superfici e nella quale la nostra Pianura Padana rientra perfettamente per ora.
È probabile quindi che i fattori in gioco siano molteplici, ed è anche certo che il virus muti per adattarsi (lo ha già fatto), ma il particolato atmosferico resta una delle principali cause di deterioramento polmonare e fornisce al virus superfici in più alle quali legarsi.
Fonti di riferimento: SIMA Onlus / Organizzazione Mondiale della Sanità / European Environmental Agency / Unicef / The Journal of Hospital Infection
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