Quantità di particolato fine presenti nell'aria che respiriamo, anche al di sotto dei limiti di legge, rappresentano una grave minaccia per la nostra salute
Bastano anche bassi livelli di agenti inquinanti nell’aria che respiriamo per compromettere la salute del nostro apparato cardiocircolatorio, aumentando il rischio di insorgenza di patologie croniche quali infarto e ictus.
È quanto confermato da uno dei più grandi studi condotti negli Stati Uniti sull’incidenza delle malattie cardiache, che ha coinvolto 3,7 milioni di cittadini californiani.
Per realizzarlo, gli autori hanno analizzato i dati del sistema sanitario californiano raccolti fra il 2007 e il 2016 e li hanno confrontati con il luogo di residenza dei pazienti oggetto dell’indagine, al fine di determinarne il grado di esposizione all’inquinamento atmosferico.
I ricercatori hanno poi valutato gli effetti della presenza di particolato fine (PM2.5) nell’aria che respiriamo: queste particelle, grazie alle loro dimensioni minuscole, riescono a passare attraverso i polmoni e a entrare nel flusso sanguigno.
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Il particolato fine si libera nell’aria dalle emissioni di centrali per la produzione di energia da fonti fossili, gas di scarico dei veicoli, fumo di sigarette e altri tipi di combustione. Gli standard per la salubrità dell’aria negli Stati Uniti prevedono un limite di 12 microgrammi di PM2.5 per metro cubo.
Nell’Unione Europea i limiti alle concentrazioni di particolato fine sono ancora più tolleranti (a danno della nostra salute): la normativa introdotta nel 2015 e non ancora aggiornata fissa a 25 microgrammi per metro cubo il limite da non superare.
Secondo lo studio appena pubblicato, invece, anche questo limite di inquinamento è troppo alto e pericoloso per la nostra salute: l’esposizione prolungata al PM2,5 in concentrazioni fra 12 a 13,9 microgrammi per metro cubo aumenta il rischio di infarto del 10% e la morte per malattie cardiache o cardiovascolari del 16%.
I risultati raccolti dimostrano che le persone esposte all’inquinamento atmosferico da particolato fine hanno un rischio maggiore di subire un infarto o morire di malattia coronarica, anche quando quei livelli di esposizione sono pari o inferiori agli attuali standard di qualità dell’aria.
Infatti, anche le persone esposte a concentrazioni di PM2.5 comprese fra i 10 e gli 11,9 microgrammi per metro cubo (quindi al di sotto degli standard) hanno sperimentato un aumento del 6% del rischio di infarto e un aumento del 7% del rischio di morte a causa di malattie cardiovascolari.
E non solo: le analisi hanno dimostrato che i rischi per la salute sono rimasti anche in presenza di concentrazioni di PM2,5 ancora più basse (fra 8 e 9,9 microgrammi di particelle per metro cubo).
La conclusione a cui sono giunti i ricercatori americani è che i livelli di inquinamento dell’aria tollerati dalle autorità come “sicuri” rappresentano comunque un grave rischio per la nostra salute. Ecco perché chiedono di abbassarli, a beneficio della popolazione.
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Fonte: JAMA Network Open
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