Imballaggi compostabili: fanno bene all’ambiente, ma contengono Pfas

Bisogna sostituire al più presto la plastica usa e getta, una delle possibilità per quanto riguarda i contenitori per alimenti sono gli imballaggi compostabili. Ma è davvero la soluzione migliore da un punto di vista ambientale e della salute?

Gli imballaggi compostabili riducono l’impatto ambientale in quanto si degradano facilmente, riducendo gli sprechi e non creando spazzatura. Sotto questo punto di vista sono indubbiamente una buona idea se non fosse che, la maggior parte dei contenitori per alimenti compostabili, contengono in realtà Pfas.

Vi abbiamo parlato più volte di queste sostanze perfluoroalchiliche, o acidi perfluoroacrilici, che nel comparto industriale e più nello specifico nel settore degli imballaggi sono utili a far sì che il contenitore regga il contatto con acqua, olio e altre sostanze grasse.

Il problema è che i Pfas, se presenti in questi imballaggi, finiscono nel compost e di conseguenza entrano nella catena alimentare attraverso le piante. A lanciare l’allarme su questo aspetto è uno studio dell’ACS Environmental Science & Technology Letters.

L’indagine si proponeva di scoprire quanti Pfas finiscono effettivamente nel materiale compostato. A questo scopo si è scelto di analizzare 10 campioni di compost provenienti da diversi stati, nove da strutture commerciali e uno da un deposito di compost da cortile. Il team di ricerca ha analizzato con la spettrometria di massa gli acidi perfluoroalchilici (Pfaa), composti che si producono dalla degradazione microbica dei Pfas durante il compostaggio.

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Si è visto così che i campioni che provenivano dagli stabilimenti in cui si compostavano gli appositi imballaggi per alimenti (7 in totale) avevano livelli di Pfaa più elevati dei campioni provenienti da stabilimenti che non li accettavano o dal deposito di compost da cortile che non li conteneva.

Una volta entrati nell’organismo, i Pfas tendono ad accumularsi e possono creare problemi al sistema endocrino, compromettendo crescita e fertilità, si sta ancora valutando anche una loro possibile cancerogenicità, così come la possibilità che sviluppino malattie tiroidee, coliti ulcerose o patologie fetali nelle donne incinte.

In particolare due Pfas a catena lunga, l’acido perfluoroottanoico (Pfoa) e l’acido perfluoroottanosolfonico (Pfos), sono stati associati ad effetti negativi sulla salute, e per questo negli Stati Uniti alcuni contenitori per alimenti compostabili sono stati volontariamente ritirati. Si è passati allora all’utilizzo di altri tipi di Pfas, quelli a catena corta, di cui però si conoscono ancora meno gli effetti sulla salute.

La maggior parte dei composti rilevati nell’indagine americana erano Pfaa a catena corta e, in seguito ai risultati ottenuti, lo stato di Washington ha approvato una legge che vieta l’uso di Pfas negli imballaggi alimentari a partire dal 1 gennaio 2020.

Anche altri Stati seguiranno questo provvedimento? E in Italia?

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Francesca Biagioli

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