Un nuovo studio dimostra che uno dei più noti erbicidi, il glifosato, ha effetti negativi sulle comunità microbiche e sulla salute
Un nuovo studio dimostra che uno dei più noti erbicidi, il glifosato, ha effetti negativi sulle comunità microbiche, andando a impattare negativamente sulla salute di piante, di animali e anche dell’uomo
Il glifosato è una delle sostanze chimiche più comuni al mondo, e la sua presenza si registra in moltissimi erbicidi e diserbanti: il suo utilizzo è aumentato in modo esponenziale da circa un ventennio, da quando cioè ha avuto inizio l’era delle colture geneticamente modificate. Questo erbicida così tossico contamina l’ambiente e gli ecosistemi, finendo nelle falde acquifere e nei prodotti agricoli e arrivando così anche sulle nostre tavole.
La letteratura scientifica, finora, non ha dato ampio spazio agli effetti negativi di questa sostanza – ecco perché un nuovo studio ha voluto indagare le conseguenze, per l’uomo e per l’ambiente, dell’esposizione ad essa. È emerso che concentrazioni non letali di glifosato alterano la composizione delle comunità microbiche, distruggendo microrganismi potenzialmente benefici e proteggendo al contempo quelli patogeni. I ricercatori si sono focalizzati su tre aspetti per la loro ricerca: l’accumulazione di glifosato nell’ecosistema (inclusi animali e piante); gli effetti della sostanza sui microbi presenti nel suolo, negli animali e nell’uomo; infine, se gli impatti osservati sui microbi possono avere conseguenze negative su piante, animali ed esseri umani.
Il glifosato si degrada nell’ambiente sotto forma di acido aminometilfosforico (AMPA) nel giro di alcuni giorni. Tuttavia il terreno e il materiale organico in esso presente assorbono la sostanza e il suo metabolita AMPA, rallentando il processo di degradazione e rendendo ad entrambe le sostanze più facile la penetrazione nell’ecosistema; inoltre, il terreno non è in grado di assorbire tutti i costituenti chimici, e residui di essi finiscono nelle falde acquifere durante le piogge forti: si stima che America settentrionale e meridionale abbiano le più alte concentrazioni di glifosato nelle falde acquifere.
Ma qual è l’impatto di tale sostanza sul microbioma delle piante e degli animali? Il glifosato agisce su specifici gruppi di microbi che risultano essere particolarmente sensibili al suo effetto e che viaggiano attraverso l’intera catena alimentare, impattando così la salute di tutti gli organismi, vegetali e animali. Per quanto riguarda le piante, il glifosato e l’AMPA provocano cambiamenti a livello del microbioma entofitico, responsabile della crescita delle piante; inoltre, causano una riduzione nella produzione di “difese” contro gli agenti patogeni. Il glifosato può danneggiare anche l’assorbimento dei nutrienti da parte delle piante, andando a distruggere i microbi impegnati nella sintetizzazione degli elementi nutritivi come fosforo, ferro, manganese, rame e zinco.
Per quanto riguarda invece gli animali, certamente gli insetti impollinatori sono quelli maggiormente a contatto con gli erbicidi usati in agricoltura: il glifosfato può alterare il loro microbioma intestinale, andando a diminuirne la mobilità attraverso una serie di patologie specifiche – come la sindrome delle ali deformi (DWS) o un’aumentata sensibilità agli attacchi del Varroa destructor, un acaro parassita che attacca alcune specie di api. Negli altri animali e nell’essere umano, una variazione nelle comunità microbiche dell’intestino può tradursi in varie forme di disbiosi – alterazioni che colpiscono il tratto gastrointestinale e che limitano l’abilità dei sistemi immunitario, endocrino e nervoso. Se si considera che i microbi patogeni sono meno sensibili agli effetti del glifosato, non è difficile immaginare come questi possano al contrario proliferare, accumulandosi nell’organismo con effetti molto gravi per la salute.
Infine, gli autori hanno dello studio hanno osservato una connessione fra salute intestinale e problemi neurologici degenerativi: le persone maggiormente esposte al glifosato dimostrano una più alta incidenza di forme di Alzheimer, Parkinson, autismo, iperattività, deficit dell’attenzione.
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Fonte: Frontiers in Enviromental Science
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