Di solitudine si muore davvero: così l’isolamento sociale aumenta il rischio di ictus e infarti del 30%

Una recente dichiarazione scientifica ha dimostrato come chi soffre di solitudine o ha pochi contatti sociali sia più esposto a lesioni cerebrali e attacchi al cuore. L'isolamento sociale e la solitudine aumentano il rischio di ictus e infarti del 30%

Soffrire di solitudine può intaccare a lungo andare la salute del cervello e del cuore, accrescendo il rischio di ictus e infarti del 30% nelle persone con poche relazioni sociali.

A rivelarlo è una nuova ricerca pubblicata sulla rivista medica JAHA Journal of American Heart Association. I ricercatori hanno dimostrato come alla base di molte ospedalizzazioni per problemi cardiologici e cerebrali vi sia di fondo la disconnessione dal mondo sociale.

Dai dati resi pubblici si apprende che tale rischio aumenta infatti del 30% nei soggetti con scarse interazioni sociali, ma può toccare anche il 40% negli adulti con non più di 3 contatti.

Anche i tassi di sopravvivenza allo scompenso cardiaco sono risultati inferiori nei soggetti affetti da depressione. Questi ammontano rispettivamente al 60 e 62% nei pazienti socialmente isolati e clinicamente depressi rispetto al 79% dei pazienti che non hanno mai sperimentato tali condizioni.

Tra i fattori che influenzano maggiormente le connessioni sociali vi sono la qualità di vita, l’insoddisfazione per le relazioni familiari o per la carriera, le insicurezze personali fino alla paura per calamità naturali.

Gruppi socialmente vulnerabili più inclini al rischio si riconfermano essere gli anziani, ma anche i cittadini non perfettamente inclusi nella società per motivazioni razziali, religiose o legate all’orientamento sessuale. Negli Stati Uniti quasi un quarto delle persone di età pari o superiore ai 65 anni è socialmente isolato.

Il rischio di contrarre un ictus o un infarto risulta inoltre crescere con l’età per via di circostanze sociali quali, ad esempio, il pensionamento che porta l’individuo a isolarsi. Non è detto tuttavia che i giovani siano esenti dalla problematica.

La pandemia globale di Covid-19 ha ampiamente dimostrato come i giovani, privati dei loro contatti, siano stati tra i più colpiti dall’isolamento sociale e da disturbi quali ansia, depressione o alterazione del ritmo del sonno.

C’è poi un altro aspetto da tenere in considerazione. L’isolamento sociale spinge le persone a una vita più sedentaria. La mancanza di una adeguata attività fisica aumenta notevolmente le probabilità di soffrire in futuro di disturbi di vario genere, tra cui quelli cardiovascolari.

È bene comunque ribadire che l’isolamento sociale e la solitudine non siano sinonimi e non è detto che questi possano manifestarsi sempre in soggetti poco integrati nel sociale.

Gli individui possono condurre una vita relativamente isolata e non sentirsi soli e, al contrario, le persone con molti contatti sociali possono ancora vivere la solitudine, ha sottolineato Crystal Wiley Cené, docente di medicina clinica presso la University of California San Diego.

Ciò dimostra come le due condizioni non siano tra loro dipendenti, ma entrambe hanno conseguenze significative e rischiose sulla salute pubblica.

Fonte: Journal of American Heart Association

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